Maria Antonia Giuseppa Giovanna d’Asburgo-Lorena nacque di domenica, il giorno dei morti, sotto il segno dello Scorpione. Penultima dei sedici pargoli della grande Maria Teresa d’Austria e di Francesco I di Lorena. Già in età prescolare poté disporre di un appartamento privato, unico lusso concessole alla corte viennese, dove vigevano il rigore e la morigeratezza dei costumi cari all’imperatrice. Le giornate di quella bambina erano scandite da ordine e disciplina: mangiava sano, giocava il giusto, studiava molto. Alle lezioni di musica e canto, francese e acquerello, alternava le ore consacrate al catechismo e agli esercizi di memoria, soprattutto sulla storia degli Asburgo.
D’indole vivace, Maria Antonia si comportava ancora come un “maschiaccio” e curava poco la sua persona quando nella primavera del 1770, a 15 anni, lasciò l’Austria per andare a nozze con l’introverso Luigi Capeto, erede al trono di Francia. Raccontano le cronache che nonostante fosse una giornata mite, non appena la promessa sposa toccò il suolo della sua nuova patria scoppiò un violento temporale, e un fulmine andò a caderle a una spanna dal piede. Spaventata a morte, la giovane interpretò l’incidente come un cattivo presagio su quella che sarebbe stata la sua sorte nella terra dei Galli. Forse se ne sarà ricordata ventitré anni dopo mentre, vestita di una tunica grezza - ritratta al suo passaggio da un disegno senza retorica di Jacques Louis David -, saliva al patibolo come la detenuta numero duecentottanta.
In oltre quattro lustri passati alla corte di Versailles, la bella figlia degli imperatori d’Austria s’era buttata alle spalle gli insegnamenti ricevuti, improntati alla sobrietà e alla misura, facendosi via via notare per l’estrema disinvoltura con cui spendeva montagne di denari per lussi e frivolezze. Già dagli inizi, l’eco dei suoi eccessi era arrivata fino a Vienna, provocando la viva preoccupazione dell’illustre madre, costretta a scriverle spesso lettere severe, nel tentativo di indurla a un contegno degno di una donna del suo rango. Né andò meglio con suo fratello Giuseppe quando, in visita a Versailles, le rimproverò le tolette troppo stravaganti, prendendola in giro per l’esuberanza di belletti con cui soleva truccarsi.
Chiamata affettuosamente Marie-Antoinette dai cortigiani, non riscosse altrettanto successo tra i sudditi, per i quali era la Vipera, la Sanguisuga, Messalina o semplicemente l’Austriaca. Per difenderla dalle accuse d’essere una sciocca parassita, i suoi sostenitori tiravano fuori la storia del suo ben triste matrimonio che, per anni, non venne consumato a causa di una malformazione di Luigi. Per consolarsi, dunque, d’aver sposato un uomo introverso e taciturno, la Straniera si distrasse con feste e sfarzi: Rose Bertin, la modista di grido che i più maligni avevano soprannominato la Ministra della Moda, creava apposta per lei abiti così sontuosi da far tremare il bilancio del Regno. Le sue gonne, piccoli trionfi di seta, damaschi e altri tessuti preziosi, potevano anche raggiungere i sei metri di circonferenza, mentre le acconciature ideate da Léonard, suo coiffeur personale, sembravano vere e proprie torri sulle quali s’accalcavano piumaggi esotici, fiori e frutti finti, gabbiette con uccellini di gesso, imbarcazioni in miniatura. Eppure, grazie a quelle sue stravaganti tolette, dettò a lungo la moda nelle corti di tutta Europa.
Intelligente e infantile, Marie-Antoinette non cambiò atteggiamento nemmeno quando il vaiolo si portò via il re, Luigi XV, e, da un giorno all’altro, lei e suo marito diventarono i sovrani di Francia. Né mitigò i suoi eccessi dopo aver messo al mondo due figli. Sì, perché dopo otto anni di nozze “in bianco”, Luigi s’era deciso a sottoporsi a un delicato intervento chirurgico in grado di sbloccare la situazione in camera da letto.
Malgrado, comunque, i coniugi Capeto si fossero ormai riavvicinati, Marie-Antoinette continuò a collezionare amanti, tra i quali l’affascinante conte svedese Alex von Fersen, che le fu devoto fino all’ultimo dei suoi giorni.
Tra scandali, pettegolezzi e trasgressioni, l’intemperante regina aveva trovato il modo di rendere divertente la sua vita a Versailles. Colta, intraprendente, riusciva ad avere sempre l’ultima parola nelle discussioni con il ministro delle finanze di turno, quando le veniva proposto di dare un taglio alle spese, per salvare il Paese dal tracollo.
Legata da profonda amicizia alla principessa Madame de Lamballe, la incaricò di sovraintendere al suo palazzo, ma in seguito – per divergenze caratteriali – la destituì per favorire l’ascesa a corte di Madame de Polignac, tanto carismatica quanto arrivista. Sua fedele consigliera, nonché impeccabile première femme de chambre, fu invece Henriette Campan, che assieme a Madame de Lamballe le restò vicina anche quando, qualche anno più tardi, la fortuna le voltò le spalle.
Per sottrarsi ai tediosi obblighi di corte, Marie-Antoinette si fece costruire un intero villaggio in miniatura, ricreando nei minimi dettagli l'utopia arcadica della vita di campagna, divertendosi a giocare alla pastorella, senza preoccuparsi del fatto che, per pagare certi costosissimi capricci, i suoi sudditi rimanessero schiacciati dalle tasse. Sempre più soggetta alle feroci critiche dei suoi detrattori, s’illuse a lungo di restarne indenne, e non si accorse in tempo che la festa stava per finire.
Nell’estate del 1789, in una Francia avvilita da una grave crisi economica, il popolo insorse contro la monarchia, assaltò le prigioni della Bastiglia, chiese una nuova Costituzione. Il segnale era forte, ma non abbastanza da convincere i coniugi Capeto a fare le concessioni richieste. Nella speranza di ricevere gli aiuti militari da parte dei Paesi amici, presero tempo, limitandosi a vaghe promesse che non avevano alcuna intenzione di mantenere. Pochi mesi dopo, Parigi si ribellò di nuovo. Stavolta, furono centinaia di popolane armate di rabbia e bastoni a marciare fino a Versailles, riuscendo a cacciare i sovrani dal loro guscio dorato. Marie-Antoinette e suo marito, sistemati in un vecchio palazzo delle Tuileries, dovettero rinunciare ai privilegi e agli sfarzi. Risale a quel periodo il loro avvicinamento a Mirabeau, aristocratico favorevole al nuovo corso rivoluzionario: in cambio della sua mediazione a favore della monarchia in seno all’Assemblea Nazionale, si fecero carico dei suoi ingenti debiti. Tuttavia, a causa dell’irresolutezza del re e dell’ostinazione di Marie-Antoinette, Mirabeau fallì, ma restò un sincero ammiratore della regina, colpito dalla sua determinazione nel respingere qualsiasi compromesso con le idee liberali, a strenua difesa del diritto divino dei re: «Luigi XVI ha un solo uomo con sé: sua moglie!» scrisse in suo onore.
Ma i mesi correvano e il sostegno militare da parte delle potenze straniere tardava, sicché la coppia reale decise di mettersi in fuga verso l’Austria, sotto mentite spoglie. Fu però riconosciuta e arrestata a Varenne con l’accusa di tradimento della Patria. Durante quel maldestro tentativo di lasciare la Francia, Marie-Antoinette entrò in confidenza con Antoine Barnave, un politico moderato incaricato dall’Assemblea Nazionale di riportare i sovrani a Parigi. Al pari di Maribeau, anche Barnave tentò, senza successo, una mediazione a favore della monarchia, ma quando la sua corrispondenza con la regina venne alla luce, fu denunciato come disertore della causa del popolo.
A seguito, infatti, della scoperta dell’"armadio di ferro”, dove i reali nascondevano scottanti documenti che ne provavano la complicità con i controrivoluzionari e con le nazioni nemiche, Luigi XVI fu processato e ghigliottinato per primo, in pieno inverno. Poi fu la volta di sua moglie, decapitata nove mesi dopo; la stessa sorte toccò a Barnave.
Sebbene stremata dalle privazioni durante la permanenza nelle famigerate prigioni della Conciergerie, Marie-Antoinette non rinnegò mai niente della sua condotta, sinceramente convinta di aver agito sempre per il bene del popolo nei suoi vent’anni di governo:
"Je suis calme comme on l'est quand la conscience ne reproche rien"
scrisse in prossimità del supplizio.
Intanto, alla vigilia della sua morte, la baronessa e intellettuale Madame De Staël diede alle stampe - in anonimato - le Réflexions sur le procès de la Reine, una fervente arringa in suo favore indirizzata alle donne di ”tutti i paesi, di tutte le classi sociali”.
Era una Marie-Antoinette intristita e malconcia quella che il 16 ottobre 1793, tra gli insulti dei cittadini, percorse per l’ultima volta le strade di Parigi per raggiungere Piazza della Rivoluzione. Ben poco restava della donna “meravigliosamente ben fatta” che aveva estasiato Élisabeth Vigée Le Brun, sua pittrice preferita. Ciononostante, la testa la tenne alta fino all’ultimo, con la stessa, altera maestà dei bei tempi.
Qualche minuto dopo mezzogiorno, era già tutto finito e la carcassa reale fu trasportata al cimitero de La Madeleine, dove venne seppellita nella fossa comune, sotto uno strato di calce viva.