"La Margherita del Cucco" non fu soltanto un fiore, ma una perla, una rara perla di donna, persa e, poi, ritrovata, nelle opache profondità telluriche della Grotta di Monte Cucco, tra Umbria e Marche, Gubbio e Fabriano. E, sì, perché il nome greco Margherita vuol proprio dire perla e questa perla, rara per cultura e gentilezza, fu accompagnata, l’anno 1892, nella cavità sotterranea più vasta e profonda dell’Umbria, dall’allora Deputato (poi Senatore e Ministro dell’Agricoltura) fabrianese Giambattista Miliani, capitano, dell’industria della carta, il quale, applicando metodi scientifici alla produzione cartaria, rese la sua piccola città natale marchigiana di Fabriano famosa in tutto il mondo… Correva l’anno 1892, ed era d’aprile, quando, come ebbe a scrivere proprio il Miliani, vero lume e nume dell’esplorazione speleologica nella Grotta di Monte Cucco, sul bollettino del Cai, volume XXV, numero 58, del 1891 (1892) - “in una giornata tutt’altro che favorevole per una escursione in montagna, ebbi l’onore di far da guida ed accompagnarvi la coltissima e gentile signora Margherita Mengarini, la prima signora che sia discesa ad aggirarsi fra il silenzio e le ombre di questa meravigliosa regione sotterranea. E però in memoria del fatto, ed in suo onore stappando una bottiglia di vino generoso, battezzammo dal suo nome la grande sala centrale che è la più ampia e bella di tutta la caverna".
Miliani aveva già scoperto la staordinarietà assoluta di questa donna, attorno al 1880, all’interno dell’Università “La Sapienza” di Roma, da lui stesso frequentata, dove Margherita sarà, di lì a poco, la prima donna “italiana” a laurearsi in Scienze Naturali, discutendo, nel 1883, una tesi sulle uova dei decapodi. Nata a Berlino, da una ricca, colta e rispettata famiglia d’origine ebraica, Margarethe Traube, la nostra “Coltissima e Gentile Signora”, si segnalò, ben presto, all’attenzione dell’Italia otto-novecentesca, quale una chimica, fisiologa ed attivista per i diritti umani, civili e sociali, felice antesignana e precorritrice di rivendicazioni emancipatorie e femministe, ancora, almeno da noi, di là da venire nei tempi.
Figlia del celebre patologo Ludwig senior e sorella del noto filologo Ludwig junior, Margarethe respirò sin da bambina uno stimolante clima culturale, ad un tempo scientifico ed umanistico, equilibratamente collocato tra Uomo e Natura.
Dopo aver compiuto, con passione e profitto, gli studi liceali a Berlino, nel corso dei quali s’innamorò pazzamente della cultura classica greco-romana ed in particolare delle malie e delle magie della città di Roma, nel 1877 Margarethe, appena maggiorenne, approdò nella Città Eterna, al termine d’un viaggio, di diletto e studio, compiuto insieme alla scrittrice femminista ebraica Fanny Lewald. Nel 1878, quella che cominciava già ad essere chiamata, italianamente, Margherita s’iscrisse all’Università di Roma dove diventò, quasi subito, l’allieva preferita del noto chimico Jacob Moleschott, il quale era già stato, a Berlino, brillante discepolo di suo padre. Nella Capitale d’Italia, incontratasi, sempre in ambiente accademico, con il famoso anatomista, fisiologo e già amico di famiglia, Franz Christian Boll, vi si maritò il 12 marzo 1879, ma restò vedova dopo nemmeno dieci mesi di matrimonio. Nel 1884, a cinque anni dall’immatura scomparsa del primo marito, Margherita conobbe il famoso fisico, astronomo e senatore del Regno d’Italia Guglielmo Mengarini. La vita dei due sarà sapientemente compartita tra lo splendido Palazzo Mengarini di Roma e l’affascinante Villa Mengarini, affacciata sul vasto Mare di Anzio. Al Palazzo maritale, situato a latere del Quirinale e progettato dal grande architetto Gaetano Koch, Palazzo che, nel Novecento, diverrà prestigiosa dimora romana degli Agnelli, Margherita organizzerà ed animerà un vivace cenacolo letterario, fiore all’occhiello della Capitale, al cui ambito salotto si sedettero D’Annunzio (che, nel romanzo Il Trionfo della Morte, del 1894, definì Margherita “medichessa celebre”), Mommsen, Blaserna, Lövy, Furtwängler, suo fratello Ludwig, ed altri, mentre nella sua Villa stile Liberty al Porto d’Anzio, sorta nei pressi dell’antica Villa di Nerone, e distrutta, poi, nel 1944, durante lo sbarco degli angloamericani, ella curerà, principalmente, gli affetti familiari del marito e dei suoi tre figli, nonché la propria grande passione per l’archeologia. Margherita fu, infatti la prima persona al mondo ad intuire la straordinaria importanza artistica della cosiddetta “Fanciulla d’Anzio”. Si occupò di molte altre discipline, afferenti alle “Humanae Litterae”, fra le quali basterà qui citare l’Archeologia, la Geografia, la Filosofia, la Politica, la Sociologia e la Pedagogia. Nel 1898, ad esempio, all’interno della prestigiosa rivista culturale “Nuova Antologia”, Margherita pubblicò un lungo articolo che, intitolato L’educazione dei nostri figli, attaccava, dalle fondamenta, l’educazione precettistica e repressiva del suo tempo, rivalutando, nel contempo, la libertà, il gioco, la fantasia e la creatività e anche l’apparente caoticità del pensare e dell’agire del bambino, ritenendo che, quest’ultimo, dovesse crescere, maturare e formarsi in un ambiente culturalmente aperto e stimolante, ma, soprattutto, lontano dalle “istituzioni totali” scolastiche, a diretto contatto con la Natura. Riferendosi alla creazione artistica, ella scriveva, fra l’altro: “Lo spirito umano rimane sempre superiore alla sua opera”. La Mengarini, oltre allo studio ed alla vita mondana, si dedicò, altresì, allo sport. Insieme al secondo marito Guglielmo, membro illustre del Cai di Roma (il quale, nel 1880, aveva già compiuto una pionieristica salita invernale al Gran Sasso d’Italia), infatti, ella si fece, spesso, lunghe nuotate nel Tirreno e nel tratto romano del Tevere e compì, forse prima donna al mondo, l’ascensione al Monte Rosa. Combattendo, costantemente e strenuamente, a favore della causa femminile, Margherita tenne, altresì, tutta una serie d’affollate conferenze presso il Lyceum di Roma, conferenze cui intervennero le più famose donne italiane, e collaborò, in maniera estremamente attiva, alla rivista L’Unione Femminile Nazionale.
Fra le più grandi amiche di Margherita vi furono Sibilla Aleramo, con la quale ella intrattenne una fitta ed interessantissima corrispondenza, Teresita Sandeschi Scelba, Elena Lucifero e Teresa Labriola.
A Roma, Margherita, lavorando nel laboratorio del famoso fisiologo Emil Du Bois-Reymond e d’altri, rese edite le sue prime ricerche scientifiche di fisiologia animale (poi proseguite al fianco del fisico Pietro Blaserna e di Casimiro Manassei), sulla permeabilità della pelle, la vescica natatoria dei pesci ed i gas in essa contenuti mentre con Luigi Luciani e il celebre medico ed igienista marchigiano Angelo Celli (ammogliatosi con sua nipote, l’infermiera, filantropa ed attivista Anna Fraentzel) concorse, assieme ad Alberto Scala, a studi e contributi editi sopra le soluzioni colloidali e le leghe metalliche. Due anni prima di morire, Margherita cominciò ad affiancare il lavoro scientifico del chimico Emanuele Paternò, all’interno dello stesso laboratorio di ricerca diretto da quest’ultimo.
Colpita da una grave forma di tumore, Margherita s’affidò, per alcun tempo, a Milano, alle cure sperimentali del noto patologo ed igienista italiano Francesco Sanfelice, taluni dei cui metodi e rimedi terapeutici verranno, poi, ripresi, forse inconsciamente, molti decenni dopo, dal discusso medico Giuseppe Di Bella. Fino alla morte, Margherita continuerà, comunque, a studiare e ricercare indefessamente, ospitata, con stima, affetto e discrezione, sempre a Milano, all’interno del proprio laboratorio, da Ettore Molinari. Le cure del Sanfelice parvero giovarle, tanto e così bene da essere dichiarata guarita, ma l’11 dicembre 1912, ella morì d’improvviso, nella sua Villa d’Anzio, per una virulenta forma d’influenza, forse di tipo aviario, che, trovandola terribilmente debilitata, per la lotta sostenuta contro il cancro, ne fiaccò definitivamente le residue difese, immunitarie, psicologiche e morali, ad appena cinquantasei anni d’età. Il suo corpo riposa, oramai da più di cent’anni, nell’ameno cimitero della nota località marittima laziale.