Scrittrice, pittrice, educatrice, militante politica, decorata con la Croce al valor militare per il suo ruolo nella Resistenza, Luisa Villani Usellini è una figura poco nota. Eppure, ha lasciato una traccia profonda nei diversi contesti in cui operò, come testimoniano i numerosi documenti in archivi pubblici e privati.
Nata a Milano il 3 giugno 1910 da Maria Dalla Croce (1875-1968) e Giovanni Villani (1864-1917), Luisa restò presto orfana del padre, generale di divisione durante la Prima guerra mondiale, che si suicidò a Jeza, nei pressi di Caporetto, il 26 ottobre 1917, denunciando con il suo gesto l’incapacità dei vertici militari. Questa tragica morte la segnò per sempre e formò in lei un’intransigente etica del dovere.
Con il fratello maggiore Carlo (1907-1974), Luisa crebbe sotto la guida della madre, donna intelligente e colta, che educò i figli a un forte senso delle responsabilità famigliari e civili. Compì i primi studi ad Arona, dove la famiglia si era trasferita nel 1915. Qui intrecciò relazioni decisive per il suo futuro. A scuola conobbe la valdese Rita Isenburg, con la quale strinse una duratura amicizia, rafforzata dalla comune passione per l’arte. Divenne anche un’assidua compagna di Gianfilippo, Guglielmo e Maria Luisa Usellini, figli di Lorenzo, industriale milanese del settore dei profumi, che trascorrevano le vacanze nella casa aronese degli avi. Sotto la guida di Gianfilippo, poi divenuto un noto pittore e scenografo, Luisa iniziò a dipingere, fissando sulla tela momenti di vita famigliare e luoghi che amava.
Nel 1923 si trasferì con la famiglia a Bergamo, dove completò gli studi presso l’Istituto tecnico commerciale “Vittorio Emanuele II”. Negli anni 1926-1928, ebbe come docente di economia l’antifascista fiorentino Ernesto Rossi, il quale conduceva a Bergamo una pericolosa vita clandestina che gli precludeva ogni discussione politica con gli allievi. Tuttavia, come emerge dal diario di Luisa, qualcosa dell’insegnamento di Rossi restò vivo in lei, soprattutto l’invito a leggere i grandi autori della letteratura europea e ad assumere uno sguardo critico verso la retorica nazionalistica del regime fascista.
Dopo la conclusione degli studi e il trasferimento a Milano nel 1930, Luisa attraversò un periodo di grave crisi. Avrebbe voluto proseguire gli studi in campo artistico, ma le condizioni economiche della famiglia e le convenzioni del tempo le fecero scegliere diversamente. Come per molte sue coetanee, anche per la giovane Luisa – la cui bellezza e grazia attiravano molti pretendenti – la vita matrimoniale restava un orizzonte segnato. Nel 1935 il matrimonio con il giornalista e scrittore Guglielmo Usellini (1906-1958), basato su una familiarità che durava dall’infanzia, fu quasi naturale. All’autentica passione di Guglielmo verso Luisa corrisposero l’affetto rispettoso e l’assenso più ragionato di lei, che iniziò così la sua vita matrimoniale a Roma, dove il marito si era trasferito per lavoro.
Scrittore sensibile alle arti figurative e alla cinematografia, Guglielmo Usellini aveva faticato a inserirsi nel contesto intellettuale del tempo. Benché non fosse ancora su posizioni apertamente antifasciste, era già incappato nella condanna della censura. All’inizio degli anni Trenta, sembrandogli preclusa al momento qualsiasi opposizione efficace contro il regime, scelse di chiudere il proprio dissenso nello «spazio interiore» della coscienza. Desideroso di dare una vita dignitosa alla moglie, accettò dunque un impiego come addetto alla revisione e allo studio di soggetti e sceneggiature presso il Ministero per la Stampa e la Propaganda e, nel 1939, passò alle dipendenze di Cinecittà, con mansioni di sceneggiatore e dialoghista. Entrato nel frattempo in contatto con gli ambienti antifascisti, vi conduceva una doppia vita, impiegando gran parte dei guadagni del lavoro cinematografico per aiutare i movimenti clandestini contro il regime.
Accanto a lui, la giovane moglie Luisa, inizialmente inebriata dalla nuova vita matrimoniale e dal trasferimento a Roma, visse in quegli anni un periodo di inquietudine, allietato solo dalla nascita nel 1937 del figlio Daniele. Man mano che il lavoro di Guglielmo ampliava la loro cerchia di conoscenze, la loro casa si riempiva di attori in voga, registi cinematografici (Esodo Pratelli, Marco Elter, Mario Soldati, Alberto Lattuada, Francesco Maselli, Luigi Comencini), scrittrici e scrittori (Guido Piovene, Alberto Moravia, Elsa Morante, Irene Brin).
Descritta da Piovene come una bella signora «bruna, snella e attraente», perfetta padrona di casa, Luisa si sentiva stimolata da quell’ambiente ma insieme intimidita.
Riprese la pittura e coltivò la lettura e la scrittura, collaborando anche ad alcune sceneggiature del marito e proponendone una a sua firma, che però non fu mai realizzata. Pubblicò anche due originali racconti per l’infanzia – Angeli sul tetto e Guerra ai castelli in aria – che ottennero un buon successo e furono tradotti anche all’estero. Tuttavia, il senso di inadeguatezza e la delusione verso un mondo intellettuale, che visto da vicino svelava debolezze e contraddizioni, la condussero a ricorrenti malesseri psicofisici. In quegli anni bui, l’ambiente culturale romano, segnato dall’opportunistica adesione a un regime di cui ormai si vedevano tutti i difetti, le appariva sempre più vacuo e ipocrita.
La Guerra civile spagnola, le Leggi razziali del 1938, il patto con la Germania di Hitler e, infine, lo scoppio della guerra in Europa nel 1939 imposero un doveroso confronto con la realtà. Luisa e Guglielmo giunsero insieme a una chiara presa di posizione antifascista ed entrarono in contatto con gli ambienti giellisti e socialisti. Verso la fine del 1941 ebbero in lettura il manifesto Per un’Europa libera e unita appena giunto da Ventotene. In quell’appello – scritto in un’isola di confino dal suo ex professore, Ernesto Rossi, insieme ad Altiero Spinelli ed Eugenio Colorni – Luisa trovò le risposte che la tormentavano sin da quando, molti anni prima, si era interrogata sulla natura della guerra che le aveva sottratto il padre. Nel Manifesto federalista, la guerra non era più presentata come un’ineluttabile fatalità ma come la conseguenza dell’anarchia internazionale e della divisione dell’Europa in Stati-nazionali sovrani. Come tale, si poteva immaginare di superarla, stabilendo un nuovo ordine politico sovranazionale su base federale. Questo era dunque l’obiettivo prioritario per cui si doveva lottare, se si volevano assicurare in Europa la pace, la democrazia e il benessere sociale.
Tra il 1942 e il 1943, Luisa e Guglielmo strinsero un sodalizio federalista con il fratello e le sorelle di Altiero Spinelli (Cerilo, Gigliola, Fiorella), e con Ursula Hirschmann, moglie di Eugenio Colorni, allora confinato a Melfi, dov’era reclusa dal 1942 anche Ada, moglie di Ernesto Rossi. Nella primavera 1943 grazie all’iniziativa di questo gruppo fu pubblicato il primo numero dell’«Unità europea», organo del Movimento federalista europeo.
Quando il filosofo Eugenio Colorni (1909-1944), già animatore del Centro interno socialista, fuggì nel maggio 1943 dal confino di Melfi, gli Usellini, lo ospitarono nella propria casa nonostante il pericolo di essere scoperti. L’arrivo di Colorni elevò il livello dell’elaborazione politica e allargò il cerchio dei contatti anche alla rete socialista. Coinvolta in questo fervore di attività, Luisa si trovò al centro di una trama di relazioni che le offriva quell’occasione di agire a lungo attesa. Nel frattempo, intorno a lei, il regime fascista vacillava sino a cadere nella notte tra il 24 e il 25 luglio 1943.
Il 31 luglio 1943, per la diffusione di un volantino federalista che chiedeva la guerra contro i Tedeschi, Guglielmo Usellini e Cerilo Spinelli furono arrestati dalla polizia badogliana e rinchiusi a Regina Coeli. L’arresto del marito costrinse Luisa a dare una nuova direzione alla sua vita. «Ormai c’è poco da scrivere – si legge nel suo diario – bisogna vedere che cosa saprò fare». Si trattò di una vera metamorfosi, in cui Luisa imparò a fare da sé, uscendo dal bozzolo protettivo in cui l’amore del marito l’aveva rinchiusa. Dapprima imparò a battersi presso i giudici del Tribunale militare per chiedere il rilascio del marito. Poi iniziò ad assumere un ruolo in prima persona all’interno del gruppo federalista, partecipando anche al convegno di fondazione del Movimento federalista europeo (Mfe), che si svolse a Milano fra il 27 e il 28 agosto 1943, in casa della sua amica di infanzia, Rita Isenburg, moglie di Mario Alberto Rollier. In questa sede, Luisa, che aveva studiato la lingua tedesca, fu «nominata per eventuali contatti con elementi tedeschi» nella capitale.
Dopo l’armistizio dell’8 settembre, Luisa svolse il suo apprendistato di vita partigiana «in proprio», affrontando da sola l’inizio dell’occupazione tedesca e la nascita della Resistenza. L’arrivo dei Tedeschi aggravò la posizione di Guglielmo ancora rinchiuso in carcere, che rischiò di essere deportato in Germania. Il 12 novembre 1943, dopo tre mesi di tentativi falliti, Luisa riuscì a ottenere un falso mandato di liberazione provvisoria per il marito. Lo aiutò quindi a fuggire con l’amico Luigi Comencini e a riparare in Svizzera per riunirsi al gruppo federalista che lì operava intorno a Rossi e Spinelli. Deludendo le aspettative di Guglielmo, scelse però di non seguirlo e di restare a Roma, perché ormai impegnata in un autonomo percorso di maturazione come militante e come donna.
Nel clima di fervore ideale della Resistenza, in cui divenne possibile abbattere barriere d’età, classe, genere e condizione civile, avvenne anche il suo «meraviglioso rapporto-incontro» con Eugenio Colorni, che trasformò per sempre la sua vita. Dopo aver vinto iniziali esitazioni, Luisa ed Eugenio costruirono un sodalizio sentimentale e politico, tanto intenso e appassionato quanto breve: Colorni fu, infatti, ucciso nel maggio 1944.
Impegnato nelle file del rinato Partito socialista di unità proletaria (Psiup), Colorni collaborò all’organizzazione militare e alla redazione dell’«Avanti!» clandestino. Intorno a lui si costituì un gruppo eterogeneo formato da federalisti di diversa provenienza (gli azionisti Leone Ginzburg e Manlio Rossi Doria, il repubblicano Giorgio Braccialarghe) e da giovani socialisti, tra i quali Giuliano Vassalli, Mario Zagari, Leo Solari, Tullio Vecchietti, Matteo Matteotti, Giorgio Lauchard, Giovanni Barbera (poi fucilato a Fossoli) e Giuseppe Lopresti (ucciso alle Fosse Ardeatine).
All’interno di questo gruppo, Luisa svolse compiti di collegamento, produzione e diffusione di stampa clandestina, propaganda e formazione politica, divenendo un punto di riferimento per alcune giovani donne che, come Carla Voltolina, erano desiderose di impegnarsi nella lotta partigiana. Prese anche parte ad azioni rischiose come quando, il 7 ottobre 1943, con Colorni e Gigliola Spinelli, cercò di far saltare un pilone radio. Spesso quest’attività la costrinse a interrogarsi sul suo ruolo di militante e sulle sue responsabilità materne. In un passo del diario si chiedeva: «Penso a come farò a non tradire il lavoro e a non tradire l’impegno preso con mio figlio».
Nell’inverno 1943-1944 ospitò presso la sua abitazione una scuola di partito organizzata da Colorni e Tullio Vecchietti e, nella primavera 1944, collaborò alla nascita della Federazione Giovanile Socialista, alla pubblicazione del foglio «Rivoluzione socialista» e al varo della prima brigata autonoma "Matteotti". Insieme a Colorni, fu presente a incontri con Pertini, Nenni e Saragat, assistendo alle tensioni interne al Partito socialista in merito al federalismo europeo e alle relazioni con il Partito comunista. In queste riunioni, considerata un binomio inscindibile con Colorni, acquistò credito come militante intelligente e fidata.
Il 28 maggio 1944, cercando di sottrarsi all’arresto, Eugenio Colorni fu ferito da militi della banda Koch e morì due giorni dopo all’ospedale San Giovanni, una settimana prima della liberazione di Roma. Lo shock della perdita fu devastante, ma Luisa seppe reagire per far fronte ai suoi impegni di madre e militante. Cercò così di rianimare la sezione federalista romana, che ormai poteva contare solo su pochi militanti, in quanto la maggioranza degli aderenti aveva già ripreso il proprio posto nelle file dei rispettivi partiti, ponendo in secondo piano la battaglia europeista.
Delusa dall’inazione dei compagni federalisti, cercò di lavorare dall’interno del Psiup per affermare un socialismo antidogmatico, autonomo dai comunisti e orientato verso posizioni federaliste. Su richiesta di Nenni, coordinò il Comitato direttivo del Centro Femminile Socialista, costituitosi a Roma nel luglio 1944 e di cui facevano parte anche Elena Caporaso, Luigia Chiola, Rosetta Fazio Longo, Marcella Monaco, Giuliana Nenni. Come responsabile del Centro Femminile, fu cooptata nella direzione del Partito. Per otto mesi, tra l’11 luglio 1944 e il 19 marzo 1945, diresse anche il supplemento quindicinale «La Donna socialista» dell’edizione romana dell’«Avanti!», che uscì in 17 numeri e rappresentò una voce libera e originale nel panorama della stampa femminile nella Resistenza grazie alla presenza di giovani e brillanti redattrici, come Adriana Motti, poi divenuta una nota traduttrice.
Ben presto, però, Luisa entrò in contrasto con la segreteria del Psiup, che andava sempre più uniformandosi alle posizioni internazionali del Partito Comunista Italiano e quindi dell’Urss, ostili a ogni ipotesi di federazione europea. Un profondo bisogno di verità e coerenza la spinse a dimettersi dapprima dalla direzione de «La Donna Socialista» e dal direttivo del Partito e poi ad uscire dal Psiup. Ne resta testimonianza nello scambio epistolare con Pietro Nenni e Rosetta Longo.
Con la fine della guerra, delusa dalla scarsa efficacia del Mfe e dal venir meno delle speranze rivoluzionarie legate alla Resistenza, Luisa cercò nuove strade d’azione. L’8 maggio 1945, con Veniero Spinelli – un altro dei fratelli di Altiero – e sua moglie Ingrid Warburg fondò il Movimento autonomista di federazione europea (Mafe), idealmente più vicino a un federalismo personalista e integrale di ascendenza francese piuttosto che a quello istituzionale di tradizione anglosassone di Rossi e Spinelli.
Alla fine del maggio 1945, l’incontro con il marito rientrato dalla Svizzera fu drammatico. Come accadde ad altre coppie separate dalle vicende della guerra, non fu possibile riprendere la vita in comune dal punto in cui si era interrotta. Luisa decise così di porre termine, con molta sofferenza, al suo matrimonio, pur riuscendo a ricostruire col tempo rapporti di rispettosa e affettuosa amicizia col marito, che sarebbero durati sino alla morte di Guglielmo nel 1958.
Nel giugno 1945, ancora incapace di reggere una situazione troppo dolorosa, si trasferì a Milano, affidando il figlio Daniele al marito per il tempo necessario ad allestire una sistemazione idonea anche per il bambino. Partendo da Roma, lasciava le amicizie più care e un contesto di relazioni che le avrebbe consentito di intraprendere una già promettente carriera giornalistica.
Giunta a Milano, per mantenersi Luisa mise a frutto le sue doti artistiche e lavorò come disegnatrice di ricami per alcune importanti case di moda italiane, come quelle di Germana Marucelli e Jole Veneziani. Proseguì per breve tempo anche l’impegno politico, divenendo una delle principali dirigenti della sezione milanese del Male, da cui però si allontanò a causa delle divisioni interne al movimento.
Sempre più delusa dalla mancata realizzazione dei suoi ideali e dall’incapacità della politica di incidere efficacemente nel cambiamento sociale, preferì cercare nuovi ambiti in cui impegnarsi.
Nel 1946, su suggerimento dell’amico Bruno Munari, si avvicinò al «Centro di Cultura Spirituale» di Milano, un sodalizio laico fondato nel 1938 da Tullio Castellani (1892-1977) e affiancato dal 1944 dall’associazione «Coscienza. Unione per lo sviluppo dei valori morali», oggi riuniti col nome di «Centro Coscienza». Il Centro proponeva attività di ricerca in ambito culturale, sociale, educativo per promuovere il pieno sviluppo dell’individuo in tutte le sue facoltà come condizione per un efficace cambiamento sociale.
Colpita dall’originale filosofia e dal metodo di ricerca del Centro – che consisteva in un approccio maieutico nell’ambito di un contesto comunitario – Luisa ne divenne una socia attiva e poi una stimata dirigente, organizzando conferenze e corsi di formazione per adulti in vari ambiti disciplinari (storia, letteratura, arte, filosofia, ricerca sociale e spirituale) e collaborando alla rivista del Centro, «Maieutica», fondata da Tullio Castellani nel 1948, che nel 1969 assunse il nome di «Maieutica dell’azione».
Insieme ad alcuni giovani universitari, fra cui Gian Carlo Calza, e come collaboratrice di Linda Calza, vice-presidente del Centro, Luisa partecipò anche a un originale esperimento educativo che prese forma nella «Schola di maieutica», rivolta a giovani fra i 14 e i 19 anni e sviluppatasi a partire dal modello dei «collegi educativi» proposto da Tullio Castellani. Dopo un periodo di gestazione durato dieci anni, la «Schola» iniziò a funzionare nel 1978 a Morosolo, sulle colline sopra il lago di Varese, restando attiva per più di un trentennio e coinvolgendo centinaia di giovani studenti ed educatori.
Dopo la scomparsa di Tullio Castellani e dell’amica Linda Calza nel 1977, dopo alcuni mesi Luisa divenne presidente del «Centro Coscienza» e mantenne l’incarico sino alla sua morte, avvenuta a Milano il 16 giugno 1989. Per sua volontà, fu sepolta a Morosolo, in una tomba dove riposano le spoglie dei fondatori del Centro, Tullio e Vera Castellani e Linda Calza.