Juana Inés si distingue fin dall’infanzia per la precocità intellettuale, la determinazione e il desiderio di conoscenza: a tre anni impara a leggere e scrivere; non mangia formaggio poiché convinta che ritardi l’attività mentale; si taglia i capelli ogni volta che non ha raggiunto un obiettivo di studio. Nel 1655, trasferitasi con la famiglia nella tenuta del nonno paterno, Juana Inés ha accesso alla ricca biblioteca di lui: un rifugio che la isola anche dalle turbolenze familiari.
Dopo la morte del nonno (1656) viene mandata a vivere presso alcuni parenti a Città del Messico. Nonostante la solitudine la bambina trova consolazione nello studio cui si applica con impegno e dedizione. Genialità e cultura sempre più vasta fanno di Juana Inés una presenza ingombrante. Nel 1660 gli zii materni decidono di presentare a corte la nipote. Favorevolmente colpita dall’intelligenza e dalla grazia di Juana Inés, Leonor Carreto, marchesa di Mancera e consorte del viceré, la nomina “beniamina della signora viceregina”.
La vita di corte è determinante per la giovane Juana Inés nell’acquisizione di modelli e comportamenti che sempre influenzeranno la sua vita, il suo stile, le sue relazioni.
il 14 agosto 1667 entra come novizia nell’ordine delle Carmelitane Scalze. Lascerà il convento solo tre mesi dopo, incapace di sopportare il rigore della disciplina imposta dall’ordine. Solo presso il convento di San Jéronimo, meno rigido nelle regole, Suor Juana Inés de la Cruz (così cambia il suo nome) trova collocazione definitiva.
È il 1672 quando si ammala di tifo, ma riesce a sopravvivere, restando sempre cagionevole nella salute. Due anni dopo muore la marchesa Leonor Carreto: la monaca scrive tre sonetti funebri in suo omaggio. Scrive anche i testi del Neptuno Alégorico (1680), che andranno a completare l’arco trionfale eretto in onore dell’arrivo dei vicereali, il marchese de la Laguna, Tomas de la Cerda e la marchesa Maria Luisa Manrique de Lara. Con quest’ultima la monaca stringe un’amicizia particolare e intensa che molti definiranno amorosa.
L’importanza della propria produzione è tale che con la lettera Autodefensa Spiritual Suor Juana licenzia il suo confessore, padre Antonio Nuñez de Miranda, che la osteggia nella sua attività di letterata, cercando di indurla a rinunciarvi. Nel 1685 scrive il poemetto Primero Sueño: è l’unica opera non commissionata della monaca-poetessa, un’originale descrizione onirica che racconta il libero viaggio dell’anima, sola e disillusa (l’anima di Suor Juana), verso un aldilà che si dissolve non appena raggiunto.
Il 1688 è un anno decisivo e difficile. Muore la madre, Isabel Ramìrez, e scade il mandato vicereale: Maria Luisa Manrique torna in Spagna con il marito. Suor Juana perde una preziosa amica e al contempo la protezione che l’ha messa al riparo dai suoi persecutori, tra cui l’arcivescovo Aguiar y Seijas.
Grazie a Maria Luisa Manrique, viene pubblicato in Spagna (1689) il primo volume delle sue opere Inundación Castalida. Lo scritto raggiunge nove edizioni in breve tempo facendo conoscere la monaca-poetessa in tutta la Spagna.
Nel 1690, a Puebla, a spese dell’arcivescovo Manuel Fernandez de Santa Cruz, viene pubblicato Carta Atenagórica. È l’unica opera puramente teologica di Suor Juana la quale confuta uno dei sermoni del famosissimo predicatore gesuita Antonio Vieyra. Una lettera di monito, carica di elogi e rimproveri, del vescovo di Puebla – protetto dallo pseudonimo di Suor Filotea - precedeva la Carta Atenagórica. Suor Juana risponde a questa lettera dopo tre lunghi mesi di sofferta riflessione. La Risposta a Suor Filotea si caratterizza subito come un’apologia che la monaca fa di se stessa, difendendo e giustificando strenuamente le proprie scelte, la propria vita, l’innato talento.
In seguito a un mutato scenario, che vede il potere religioso rivalersi su quello politico, Suor Juana, perde la protezione aristocratica, e resta in balìa del suo peggior nemico, il vescovo Aguiar y Seijas, desideroso di punire la sua arditezza e umiliare il suo talento. È il 1693 quando Suor Juana richiama presso di sé il padre confessore Antonio Nuñez de Miranda. Quest’ultimo, si dimostra ora inflessibile e crudele: il perdono è una grazia possibile solo dopo la rinuncia alle lettere.
Suor Juana presenta diversi umilianti documenti (1694) attestanti la sua rinuncia all’attività di letterata. È inoltre costretta a consegnare tutti i libri e gli strumenti musicali e scientifici ricevuti in dono all’arcivescovo Aguiar y Seijas, perché li venda devolvendo il ricavato ai poveri. Atterrita e psicologicamente annientata Suor Juana inizia a castigare il proprio corpo con cilici e flagelli.
Nel 1695 un’epidemia di natura sconosciuta colpisce improvvisamente Città del Messico causando ovunque una terribile mortalità. Nel convento di San Jerònimo nove monache su dieci restano uccise. Anche Suor Juana contrae la malattia ma fino alla morte, il 17 aprile, alle cinque del mattino, si prende cura delle consorelle con generosità e compassione.
Suor Juana è una delle più importanti fonti religiose femminili, e merita un atteggiamento di grande sensibilità interpretativa. Affermò con l’esempio della Bibbia (la giudice Debora, le regine Saba ed Ester, la profetessa Abigaele) il diritto delle donne allo studio delle sacre Scritture e a costruirsi un’identità più consona alle esigenze della propria spiritualità e cultura.