Il 7 aprile 1926 Benito Mussolini dopo aver aperto con un discorso sui progressi della medicina la conferenza internazionale di chirurgia, fa ritorno in Campidoglio salutando dall’automobile scoperta la folla festante. Una piccola signora dimessa, dai capelli grigi, gli spara con una pistola francese che tiene avvolta in un velo nero. Ma il primo ministro si è voltato bruscamente verso degli studenti che intonano Giovinezza e la pallottola gli sfiora il naso. Violet Gibson ci riprova, la pistola s’inceppa. «Certo che me la cavai per un miracolo» avrebbe detto il Duce incerottato, partendo l’indomani per la Libia.

Figlia di una buona famiglia anglo-irlandese – il padre Edward diventa Lord Cancelliere d’Irlanda e primo barone Ashbourne – che cura poco l’educazione dei figli, da ragazza diventa un’ardente seguace della teosofia di Helena Blavatsky. Insoddisfatta e sfaccendata nel 1902 si converte al cattolicesimo, una religione inadatta alla sua classe sociale e alle sue origini inglesi, e i genitori la mandano con la cameriera a visitare per lunghi periodi l’Italia e la Svizzera. Nel 1916, fa un ritiro spirituale e di “mortificazione” in un convento di gesuiti e, finita la prima guerra mondiale, torna in Svizzera dove segue i seminari di Rudolf Steiner, diventa pacifista e come tale viene schedata da Scotland Yard. Sette anni dopo, nell’elegante quartiere di Londra dove si è trasferita, tenta di accoltellare per strada la cameriera e poco dopo di uccidere un paziente in un ospedale. Ricoverata per sei mesi con una diagnosi di “mania omicida”, una volta dimessa va a vivere in un convento in via delle Isolette, a Roma, dove passa le giornate a giocare a picchetto con la cameriera (un’altra) e nel 1925 cerca di uccidersi con la pistola (un’altra): voleva «morire per la gloria di Dio».

La polizia che l’arresta il 7 aprile la accusa di far parte di un complotto internazionale che lei, sembra, conferma, coinvolgendo anche il duca Giovanni Antonio Colonna di Cesarò prima di ritrattare. Dall’esame psichiatrico che comprende due visite ginecologiche, risulta sterile, e viene “certificata” pazza, anche per un’aggressione contro una guardia a colpi di vaso da notte.

Nel 1927, i parenti ottengono da Mussolini di poterla riportare in patria. Prima di partire scrive una lettera alle guardie per ringraziarle dell’ospitalità, e accompagnata dalla sorella, circondata da infermiere e scortata dalla polizia viene messa su un treno, ne scende a Londra, è portata da un medico che ne prescrive il ricovero immediato – è mezzanotte – all’Ospedale St. Andrew per le malattie mentali di Northampton. Arriva a notte fonda, viene lavata e sedata, e non ne uscirà più. Tenta un’altra volta di suicidarsi, ma poco dopo si mette a nutrire i passerotti del parco e a scrivere lunghe lettere a ministri e principi della famiglia reale, nelle quali traccia piani grandiosi per migliorare la condizione del regno e dei sudditi. Mai spedite, le lettere sono conservate negli archivi del St. Andrew.

Fonti, risorse bibliografiche, siti su Violet Gibson

Frances Stonor Saunders, The Woman Who Shot Mussolini, Londra, Faber 2010

Sul web, la sua storia è stata

rievocata il 14 dicembre 2009 a proposito di un altro attentato

Referenze iconografiche: Foto segnaletica che ritrae Violet Gibson a seguito del suo arresto per l'attentato a Benito Mussolini, 1926. Fonte: BBC News. Foto di Ministero dell'Interno. Immagine in pubblico dominio.

Voce pubblicata nel: 2012

Ultimo aggiornamento: 2024