Sabina Spielrein fu una giovane paziente e allieva di Gustav Jung, che da un profondo personale percorso di auto-guarigione, costruì la propria riflessione teorica e la professione psicoterapeutica. Fu medico psichiatra e musicologa.
«L’estensione e la forza attiva dell’inconscio sono differenti nei singoli individui. Non si può dire quale sia più “alto” o più “profondo”, se il subconscio o l’inconscio. Sono delle istanze differenti, anche opposte in un certo senso. Per l’attività professionale non importa tanto la classificazione, quanto la comprensione intuitiva del malato perché la psicoterapia pratica è un’arte di guarigione» (da Lettere a Jung, in A. Carotenuto, Diario di una segreta simmetria, Astrolabio-Ubaldini, p. 207)
«il mondo va così, perciò è difficile trovare la propria strada nella vita pratica partendo dai sogni, tranne che nelle creazioni musicali» (Lettere a Jung, in A. Carotenuto, cit, p. 221)
Figlia di un commerciante ebreo e di una medico odontoiatra che rinuncia al suo lavoro per dedicarsi alla famiglia (avendo cinque figli, tre maschi e due femmine) Sabina si ammala di nevrosi durante l’adolescenza, in seguito alla morte della sua sorella minore, Emilia, di soli quattro anni. Nell’agosto 1904 viene ricoverata per “isteria psicotica” nella clinica psichiatrica Burghölzli di Zurigo, ove rimane per quasi un anno. Essendo molto benestante, la famiglia sceglie questa clinica perché allora considerata tra le migliori in Europa e una delle poche a fare uso di “terapie basate sulla parola”. In essa opera l’ancora trentenne Carl Gustav Jung, che si dedica con grande dedizione a questa sua giovane paziente aiutandola ad emergere, nel giro di soli otto mesi, dal suo profondo stato di malessere psicotico con schizofrenia ed anoressia. Tra i due si stabilisce uno scambio emozionale molto intenso e Sabina, con la sua ampia intelligenza, cattura tutto l’interesse del giovane medico lasciando un segno profondo nella sua vita e nella storia della psicologia analitica.
Ritrovata una nuova spinta vitale Sabina decide di dedicarsi allo studio dell’essere umano. Si iscrive all’Università di Zurigo, dove si laurea in medicina e specializza in psichiatria, nel 1911, scrivendo una tesi originale su Il contenuto psicologico di un caso di schizofrenia, la prima tesi ad avere per argomento questa malattia. Nello stesso anno la tesi viene pubblicata sullo Jahrbuch e Sabina diviene componente della Società di Psicoanalisi di Vienna. Nel saggio Al di là del principio di piacere del 1920, Freud l’avrebbe citata affermando che «una parte notevole di queste speculazioni è stata anticipata da Sabina Spielrein, in un lavoro ricco di contenuto e di idee che purtroppo non mi è del tutto chiaro. Essa definisce l'elemento sadico della pulsione sessuale come “distruttivo”» (Boringhieri 1975, p.88).
Dopo la sua guarigione Sabina Spielrein e Jung (che era già sposato) hanno una storia d’amore che dura sette anni. La rottura arriva quando Jung si rifiuta di mettere al mondo, realmente non solo simbolicamente, Sigfrido, il desiderato figlio “ideale”, unione della razza semitica e ariana, che avrebbe dovuto incarnare l’immagine dell’eroe solare e la cui idea era nata dalla condivisa passione dei due amanti per Wagner. Dopo la loro rottura, Jung e Spielrein intraprendono una interessante corrispondenza epistolare di tipo esclusivamente professionale (Sabina studia e traduce le opere di Jung) che dura fino al 1919.
Nel 1909 Sabina, che allora lavorava come assistente presso la stessa clinica di Zurigo in cui si era curata, aveva intanto incontrato anche Freud, con il quale rimane in corrispondenza professionale fino al 1923. In una delle prime lettere la giovane donna così gli scrive a proposito della relazione tra lei e Jung: «il Dr. Jung quattro anni e mezzo fa era il mio medico, poi divenne un amico e in seguito “poeta”, cioè amante. Alla fine mi conquistò e tutto andò come di solito accade nella “poesia”. Egli predicava la poligamia, sua moglie sarebbe stata d’accordo etc. etc., ma mia madre ricevette una lettera anonima, scritta in ottimo tedesco, nella quale si diceva di salvare sua figlia che avrebbe potuto essere rovinata dal Dr Jung» (Lettere a Freud, in A. Carotenuto, cit, p. 233). Dalle lettere di Freud emerge come questi considerasse Sabina una collega molto competente: «Raymond de Saussurre potrebbe essere l’unica persona competente dopo di lei» (p.281), le scrive tra l’altro.
Prima di rivolgere «i Suoi sforzi per un’attività pedagogica», come Freud le consigliava, Sabina sente il bisogno di compiere un’ulteriore tappa della sua evoluzione personale trovando un luogo dove «abbandonarmi completamente». E decide di trovarlo nell’espressione artistica: torna ad occuparsi di musica, anche suonando e componendo personalmente. In una lettera del 1909 Sabina rivelava a Freud: «È stato Wagner a portarmi nell’anima il demonio con terribile chiarezza. Voglio fare a meno delle metafore, perché forse lei riderà della esuberanza dei miei sentimenti. Il mondo intero era per me come una melodia: cantava la terra, cantava il lago, cantavano gli alberi, ramo per ramo» (Lettere a Freud, in A. Carotenuto, cit, p. 245).
Nelle lettere “professionali” tra lei e Jung (in cui questi veniva appellato “caro Dottore”) Sabina approfondisce la sua riflessione teorica ed anche elabora il distacco dalla sua illusione amorosa per lui. In una lettera del gennaio del 1918 gli scrive: «anche il subconscio può sbagliare. Il subconscio è vittima della suggestione, cioè può essere indotto a cercare la soluzione del problema in una forma “più elevata” o “più bassa”. Così il mio pensiero e il mio sentimento subconsci erano tanto influenzati da Lei che cercavo la soluzione del problema di Sigfrido sotto forma di bambino reale. […] Questo atteggiamento subconscio può essere mutato nello stesso individuo in seguito all’elaborazione conscia o all’influenza suggestiva. Così alla fine Lei ha ucciso il Sigfrido “reale”, come lei stesso mi ha detto (è la prova che anche lei ne aveva uno “reale”), cioè lo ha immolato in favore di quello sublimato. Io invece nei miei sogni ho ucciso l’uomo che doveva diventare il padre di Sigfrido, e poi nella realtà ne ho trovato un altro.» (Lettere a Jung, in A. Carotenuto, cit, p. 215-216)
Sabina si è intanto trasferita a Vienna, dove nel 1912 sposa Pavel Scheftel, un medico russo di origini ebraiche come lei. Dalla loro unione nascono nel 1913 Renate (il cui nome, come scrive a Jung, significa “rinata” e che è, per lei, la figlia reale che avrebbe ricompensato la non nascita di Sigfrido) ed Eva nel 1924.
Nei primi anni Venti Sabina si trasferisce a Mosca. Quando nel 1924 Stalin dichiara la psicoanalisi fuori legge, Sabina continua a praticarla in privato illegalmente. In questi anni fonda “l'Asilo Bianco” insieme a Vera Schmidt (Starokonstantinov 1889 - Mosca 1937), una delle figure principali nel movimento psicanalitico russo. L’asilo bianco è un ospedale psichiatrico, ma anche un luogo di formazione, caratterizzato dal fatto di avere mobili e pareti dipinte di bianco e di mirare a volere educare i bambini a essere liberi. In esso Sabina e Vera sperimentano, con un certo successo, metodi pedagogici derivati dalla loro approfondita conoscenza della psicoanalisi.
Accusato di praticare principi educativi contrari alla dottrina del partito, l’Asilo Bianco viene chiuso dalle autorità sovietiche, nonostante pare che Stalin vi avesse iscritto anche il proprio figlio Vasily.
Nel 1937 muore sia l’amica e collega Vera sia uno dei fratelli di Sabina, Isaac Spielrein, psicologo sovietico e pioniere della psicologia del lavoro, che viene deportato e ucciso. Anche il marito, poco dopo, muore a causa delle “purghe” staliniane. Nel 1941, durante l’occupazione tedesca, Sabina, torna a vivere a Rostov sul Don e, quando i tedeschi arrivano anche qui, sembra che si sia rifiuta di fuggire, non credendo possibile (lei che aveva sognato l’unione tra semiti e ariani nel figlio ideale di lei e Jung!) il genocidio nazista contro gli ebrei. Muore nell’agosto del 1942 nella sinagoga di Rostov, dove i nazisti fucilano sommariamente tutta la popolazione ebrea del paese. Insieme a lei erano le sue due giovanissime figlie.
Sabina Spielrein è stata autrice attenta e acuta sia di lavori molto specialistici e dettagliati che di molta scrittura privata: diari e lettere. Dai suoi scritti emerge un percorso esistenziale che ha il coraggio di non trascurare niente della complessa e articolata vita della psiche. Scrittura privata e riflessione teorica sono per lei strumenti di incessante trasformazione e crescita di consapevolezza, e sono rivolti alla ricerca di ciò a cui più lei ambisce: una sana e armoniosa unità tra mondo “istintuale” e realtà.
Le immagini dei sogni e le contraddizioni della sua anima sono materia di continua analisi personale, che “emerge” nel diario, viene “discussa” nelle lettere e si sviluppa in un discorso teorico che guarda senza reticenze alla pluralità e ambivalenza della vita. Sabina ritiene che i desideri rimossi, considerati “immorali e insopportabili dalla coscienza” talvolta affiorano sotto forma di sogni: «soltanto grazie ai simboli del sogno ho concesso il diritto di esistenza a delle esigenze del mio essere a lungo represse». E scopre anche che: «dall’altro lato, se analizziamo nella direzione opposta, troviamo nel conscio secondario (subconscio) tutti i problemi profondamente etici, i problemi di orientamento e tutta la saggezza atavica, della quale non ci rendiamo conto perché il nostro conscio è solo una particella piccolissima di questo enorme sistema coordinato, la particella che ci è necessaria in ogni momento per adattarci al presente. E cos’è il presente?» (Lettere a Jung, in A. Carotenuto, cit, p. 202).
Aldo Carotenuto, Diario di una segreta simmetria, Astrolabio-Ubaldini 1980
Kress-Rosen Nicole, La passione di Sabina. Freud, Jung e Sabina Spielrein, Milano, La Tartaruga 1997
Luciano Mecacci, Casa Rjabu_inskij e l’Asilo psicoanalitico di Mosca negli anni Venti, «Psicologia Contemporanea», maggio-giugno 1998
F. Molfino, Sabina Spielrein, la paziente, in Psicoanalisi al femminile, a cura di Silvia Vegetti Finzi, Roma-Bari, Laterza 1992
Prendimi l’anima, (film), regia di Roberto Faenza, Arcanafiction, 2003
Oggi voglio essere felice. Sabina Spielrein, Jung, Freud, opera teatrale di Maria Inversi, 1999
My name was Sabina Spielrein, (documentario), di Elizabeth Martòn
Referenze iconografiche: La Famiglia Spielrein nel 1896. In primo piano Sabina, Emilia e Jan. Immagine in pubblico dominio.
Voce pubblicata nel: 2012
Ultimo aggiornamento: 2023