Durante l’ultima guerra, nottetempo, una giovane e bionda baronessa si aggirava furtivamente nelle campagne del Calatino, e tagliava con un coltello i sacchi di grano che i baroni della zona destinavano illegalmente al mercato nero anziché all’obbligatorio ammasso. Altre notti, invece, prelevava dalle proprie fattorie carne macellata e la portava nelle case degli indigenti, con quale rischio si può immaginare se scoperta dai gendarmi con quel carico di cibo in macchina che sarebbe dovuto essere razionato con la carta annonaria.
Questa giustiziera della notte si chiamava Ottavia Penna. Era nata a Caltagirone nel 1907, aveva studiato le nozioni elementari, come usava fra l’aristocrazia, con istitutrici di casa; poi in collegio a Poggio Imperiale in Toscana, e gli studi superiori a Trinità dei Monti a Roma. Tornata al suo paese, aveva sposato il dottore Filippo Buscemi, un medico molto noto e stimato. Alla fine della guerra, nonostante la sua forte fede monarchica, fu conquistata dalle idee “innovatrici” di Guglielmo Giannini, il fondatore dell’Uomo Qualunque. E così passionaria com’era, decise di dare una mano all’idea, candidandosi per la Costituente nella lista di questo singolare movimento.
Forse ricordando le sue imprese che ben definiscono il suo temperamento di strenua amante della legalità e della giustizia, certo è che i suoi concittadini le riservarono 11.675 preferenze, e il 2 giugno 1946 la elessero alla Assemblea Costituente, unica onorevole donna della destra italiana. Nella città “culla della Democrazia Cristiana” la sorpresa fu grande, e non fece molto piacere a Mario Scelba, che se ne lamentò in una lettera a Luigi Sturzo.
Mentre, dunque, continuava nella sua città il suo impegno di solidarietà verso i bisognosi e i giovani emarginati (con particolare contributo all’istituzione di una “Città dei ragazzi”), Ottavia Penna entrava con entusiasmo a Montecitorio, nel piccolissimo gruppo di madri costituenti: 21 donne su 556 deputati maschi. Queste erano nove comuniste, nove democristiane, due socialiste e una, appunto lei, la bionda aristocratica di 39 anni, monarchica dell’Uomo Qualunque. Senza questo gruppetto di donne agguerrite alla Costituente, come affermano gli storici, non avremmo avuto il principio fondamentale contenuto nell’Art. 3 della Costituzione che respinge ogni discriminazione anche di sesso, e che si riflette su tutti gli altri articoli. E la Penna, fin da giovanissima sostenitrice della parità di diritti tra uomo e donna, faceva fra queste molta propaganda. Tuttavia, a causa del suo anticomunismo (ma ammirava Enrico Berlinguer), lei e il gruppo dell’UDI, l’unione delle donne italiane, si tenevano reciprocamente lontane.
Ma la vera notorietà venne a Ottavia Penna quando l’Assemblea costituente si apprestava ad eleggere il primo Presidente della Repubblica. Guglielmo Giannini candidò proprio lei, presentandola come «Una donna colta, intelligente, una sposa, una madre». Com’è noto fu eletto Enrico De Nicola con 396 voti, seguirono Facchinetti con 40, Ottavia Penna 32, Orlando 12, Sforza 2, De Gasperi 1, Proia 1. Si può dire un successo, se si pensa che solo venticinque anni dopo un’altra donna, la deputata dc Ines Boffardi, ebbe un voto nell’elezione del Capo dello Stato, suscitando battute beffarde fra i deputati, tanto da costringere Sandro Pertini a rimproverarli: «C’è poco da ridere, onorevoli colleghi: anche una donna può diventare presidente, sapete?». E anche per la baronessa calatina non mancarono le battute da parte dei deputati. Come scrisse «il Giornale di Sicilia» il 29 giugno 1946: «Molto commentati i voti che escono dall’urna in favore della deputata qualunquista siciliana Ottavia Buscemi Penna. Guglielmo Giannini, con la sigaretta spenta tra le labbra, rientra nell’aula e salito al banco dove siede la candidata s’inchina a baciare la mano della signora, che il gruppo per una singolare affermazione di qualunquismo ha voluto designare alla suprema direzione dello Stato».
Alla fine dell’esperienza costituente, Ottavia Penna decide di abbandonare la politica, lo fa con amarezza perché delusa dal comportamento del suo leader Giannini (si era già dimessa dal gruppo dell’Uomo Qualunque), insofferente a certe regole dei partiti, delusa dalla vita parlamentare e dai compromessi cui ha dovuto assistere. Solo nel 1953 si presenta alle elezioni amministrative di Caltagirone e viene eletta nelle fila del Partito Monarchico, trovandosi in opposizione alla sorella Carolina, democristiana, e sindaco della città. Ma questa fu solo una parentesi nel «libro chiuso della politica», come diceva. E non ne volle più parlare fino alla morte avvenuta nel dicembre 1986. Ma nel suo animo era rimasta sempre l’avversione per «questa repubblica», e la esprimeva in maniera singolare incollando sulle lettere il francobollo a testa in giù.
Nel dicembre del 2008 una lapide è stata apposta dalla municipalità sulla sua casa natale. Una associazione contro la violenza sulle donne e per la loro promozione nella politica e nelle istituzioni è stata intitolata al suo nome. E nel 2009 è uscito anche un libro per ricordare la «storia di una singolare esperienza di vita». Si intitola Ottavia Penna – Madre costituente, Silvio Di Pasquale editore, scritto da Cettina Alario.
Voce pubblicata nel: 2012
Ultimo aggiornamento: 2023