Gli uomini sono molto inventivi. Hanno inventato tutte queste macchine e l'era industriale, ma non hanno nessuna idea di come migliorare il mondo

Niki de Saint Phalle (1930-2002) nasce in Francia da genitori aristocratici, in una famiglia sconvolta dal recente fallimento della banca paterna. Nei suoi primi tre anni, a causa di questa crisi, la bambina viene affidata ai nonni ed è costretta a sperimentare un disorientamento profondo dovuto all’assenza della madre: per tutta la vita Niki avrà un rapporto difficile con lei, fredda e irrigidita nelle convenzioni. Nel 1937 la famiglia de Saint Phalle si trasferisce a New York dove Niki frequenta diversi istituti scolastici di prestigio, mostrandosi particolarmente insofferente: quando viene espulsa dal collegio cattolico che la ospita, per aver dipinto di rosso le foglie di fico delle sculture presenti, i genitori pensano addirittura di sottoporla a cure psichiatriche. Il clima familiare è violento e oppressivo, tanto che un fratello e una sorella di Niki si suicideranno nella prima età adulta.

Per sottrarsi a quest’atmosfera lei viaggia e legge molto, coltiva grande passione per il teatro e la letteratura arrivando a laurearsi nel 1947. Inoltre torna di frequente in Europa e inizia a lavorare come fotomodella. Questa vita le garantisce amicizie internazionali e le permette di imparare molte lingue. Verso i diciotto anni Niki si sposa con il musicista e scrittore Harry Mathews, anche lui giovanissimo e appartenente a una famiglia facoltosa. Il matrimonio le assicura altra agiatezza ma le porta anche due figli; verso di loro la giovanissima madre si sente inadeguata, perciò se ne allontana spesso. L’irrequietezza che ne deriva sembra alleggerirsi con l’arte: Niki si nutre di musei e cattedrali, fa tesoro delle forme artistiche africane e precolombiane e sperimenta nel frattempo la recitazione e la pittura; non si sottomette ad una guida in particolare, ma assume come maestro ideale Antoni Gaudì, di cui ha potuto ammirare le opere a Barcellona.

Tuttavia Niki convive con un tormento interiore profondo e arriva a meditare il suicidio; il marito la convince ad entrare a 22 anni in una clinica specializzata dove, secondo le teorie psichiatriche allora in voga, le vengono praticati diversi elettroshock e l’insulino-terapia per provocarle stati di incoscienza. Durante il ricovero riemergono le vicende di abusi paterni subiti nella prima adolescenza, soffocati dal perbenismo familiare. In questo frangente l’unico sollievo per Niki consiste nel disegnare e dipingere.

Scoperto il valore terapeutico dell’arte, da questo momento vi si dedica interamente. Negli anni Sessanta l’artista diviene celebre grazie ai Tiri; si tratta di una serie di azioni durante le quali spara su rilievi di gesso, in modo da far esplodere i sacchetti nascosti al di sotto, pieni delle più diverse sostanze: da vernici colorate a uova, a passato di pomodoro. Per Niki l’opera d’arte avvia una metamorfosi e diviene ‘tabernacolo di morte e resurrezione’: immaginando di sparare sul padre, sugli uomini tutti, sulla società bigotta, sulle convenzioni e su se stessa – come per scuotersi - l’artista coinvolge spesso in questa esperienza liberatoria i visitatori della mostra.

A Parigi Niki frequenta i Nouveaux Réalistes, un movimento che con l’arte rifiuta di raffigurare o astrarre la realtà e preferisce invece presentarne direttamente la materialità, attraverso oggetti e scarti quotidiani. Qui la giovane artista conosce Robert Rauschenberg, Jasper Johns e Jean Tinguely, con i quali condivide la critica nei confronti del mercato con il suo ciclo di produzione, consumo e distruzione.

Ma in lei, unica donna del gruppo, si afferma soprattutto la volontà di dare spazio alla propria esperienza di corpo sessuato: così Niki inizia a lavorare sulla figura femminile contestando gli stereotipi e i ruoli tradizionali. In una prima fase compone le Spose, una serie di sculture dall’aspetto perfino truce, che danno forma a streghe, madri fameliche e ossessive, scheletri vestiti da sposa, prostitute, altari dove prosperano armi, pipistrelli e topi. L’artista afferma che queste composizioni estreme l’aiutano a combattere il proprio tormento interiore.

Nel 1960 Niki decide di divorziare e affida i figli al marito; si lega a Tinguely, che ammira le sue sculture ed è folgorato dalla sua energia; insieme vivono in un edificio abbandonato e lo ristrutturano. Si sposeranno nel 1971 dopo una lunga convivenza, concepita comunque in modo libertario per entrambi. Con lui, che sa elaborare meccanismi complicati capaci di animare strutture gigantesche, Niki avvia soprattutto un sodalizio artistico estremamente fecondo.
Dal 1965 le sue figure sono più gioiose, coloratissime e formose, ricordando le statue preistoriche di Dea Madre: sono le Nanas (traducibile come ‘belle pupe’), via via sempre più grandi ed opulente ma capaci di danzare e volare. Inizialmente l’artista le plasma con lana, stoffa e cartapesta, poi usa il gesso su struttura metallica, finché realizza le più monumentali con la resina o il poliuretano.

Nel 1966 nasce Hon/Elle, una figura gigantesca e prosperosa che si trova nel Moderna Museet di Stoccolma. Questa Nana è lunga 28 metri, alta 6 e larga 9, ed è una scultura visitabile anche internamente: sta distesa di spalle e accoglie nel suo grembo i visitatori che poi escono nuovamente da lei come in un parto. L’interno ospita un acquario, un planetario, un auditorium: ambienti che sottolineano con la loro fluidità e sonorità l’elemento uterino. Ma vi si trovano anche uno spazio espositivo con un bar, un cinema e uno scivolo, per restituire l’idea di agio legata alla permanenza nel corpo materno. La reazione della critica è contrastante: mentre in Svezia l’opera è accolta con grande interesse, altrove si registrano scandalo e indignazione. Ma con questi lavori è come se l’artista stesse progressivamente superando il violento trauma del suo passaggio dall’infanzia all’età adulta, per riappropriarsi infine della naturalità e della bellezza del corpo.

Nel corso delle sua vita Niki denuncia continuamente i residui della vecchia società, come il dominio patriarcale e la disparità di genere, il clericalismo, le segregazioni razziali; contesta la società dei consumi, le guerre in atto e il degrado della politica ma è anche impegnata personalmente su problemi come l’AIDS.

Il lavoro di Niki, capace di perseguire con energia sia i propri progetti che quelli di stampo collettivo, è incredibilmente eterogeneo: si va dalle sculture di soggetti spesso mitologici alle sculture cinetiche, alle serigrafie; produce gioielli, disegna scenari e costumi per spettacoli teatrali e cinematografici, scrive sceneggiature e libri; realizza parchi giochi per bambini, dirige film (fra i quali quello sul padre e quello sull’AIDS), arreda spazi di rilevanza internazionale come quello davanti al Centre Pompidou a Parigi.

L’artista è richiesta dovunque, ma verrà ricordata soprattutto per il Giardino dei Tarocchi, realizzato in aperta campagna a partire dal 1979, anche con l'aiuto di Jean. La messa in opera del Giardino comporta 17 anni di impegno, un enorme lavoro d’impianto e una spesa di circa 10 miliardi di lire; Niki si autofinanzia tramite altre opere e inaugura a questo scopo perfino una marca di profumi, ma combatte anche con seri problemi di salute. L’artista morirà nel 2002, in California, per le conseguenze di una malattia polmonare contratta respirando gas tossici, prodotti durante la lavorazione delle sue figure di poliestere.

Il Giardino dei Tarocchi si ispira al Parco Güell di Gaudì e si trova a Garavicchio vicino a Capalbio (Grosseto). Il parco ideato da Niki è frutto di un connubio tra arte e architettura: esso infatti utilizza il linguaggio dell’arte, ma ha la dimensione umana ed abitabile dell’architettura. Il Giardino è popolato da ventidue sculture monumentali - alcune delle quali sono internamente percorribili - ispirate agli arcani maggiori dei Tarocchi. Le figure (alcune di cemento e altre di poliestere) sono rivestite con mosaico di specchi, vetri e ceramiche colorate. Esse occupano circa mezzo ettaro di terra, donazione di Marella Caracciolo.

La Saint Phalle è ideatrice e regista di un lavoro collettivo, che raccoglie il contributo di numerosi collaboratori scelti spesso in modo istintivo: artisti polimaterici, architetti, arredatori, ceramisti, operai specializzati, esperti di amministrazione, di botanica. L’artista trova finalmente una famiglia nel gruppo dei suoi collaboratori, dei quali si prende una cura quasi materna. Il recupero del materno la conduce anche, nel tempo, a riaprire il dialogo con i due figli.
Le sculture costituiscono una sorta di percorso iniziatico che tecnicamente ha diversi antecedenti: le figure fantastiche di Bomarzo (secolo XV), il Palazzo Ideale del postino Ferdinand Cheval, in Francia, il Parco Güell di Gaudì a Barcellona, le Torri di Simon Rodia, operaio di Los Angeles.

Rispetto a queste opere, tuttavia, quelle di Niki interrogano le energie cosmiche, sono dense di significati simbolici ed esoterici e descrivono una sorta di mappa esistenziale. Ogni carta è leggibile in due modi differenti, che indicano l’avviso di un pericolo o un’esortazione positiva, perciò l’artista cerca di lavorare contemporaneamente sulle coppie degli opposti: materia e spirito, forza di volontà e fatalità, legge superiore e autonomia di giudizio. Questo percorso di crescita interiore procede dalla figura del Matto, che rappresenta l’iniziale ignoranza di chi affronta l’impresa, per arrivare fino alla figura del Mondo, che simboleggia la forza dell’esperienza acquisita. Niki immerge questa presenza in un’atmosfera naturale e fantastica, talora inquieta, fatta di fascinazione, di visionarietà, di gioco.

Pur in questo contesto, ciò che meglio emerge dal Giardino di Capalbio è un’idea materna e potente del femminile. Infatti tra tutte le sculture spicca l’Imperatrice-Sfinge, nella quale Niki de Saint Phalle ha abitato per lunghi periodi durante i lavori. All'interno della “grande madre”, in uno spazio senza angoli, la stanza da letto e la cucina sono ricavate nelle mammelle.

Le curve e il movimento dominano in tutto il Giardino: i profili della vasca dove scorre l'acqua sono ondeggianti; altrettanto sinuose sono le sculture sparse in collina tra alberi, cespugli ed erbe alte. Maioliche e specchi rimandano e scompongono la luce del sole. Gli accesi colori hanno valenza simbolica: il rosso è connesso alla forza creatrice, il verde alla vitalità primigenia; il blu è il segno "della profondità del pensiero, del desiderio ardente e della volontà", il bianco rappresenta la purezza; il nero indica “la vanità e i dolori del mondo”, mentre l'oro è “simbolo dell'intelligenza e della spiritualità”. Sulle stradine del parco Niki incide appunti di pensiero, memorie, numeri, citazioni, disegni, messaggi di speranza e di fede, snodando un percorso che ancora una volta non è solo fisico ma anche spirituale.

Fonti, risorse bibliografiche, siti su Niki de Saint Phalle


A.A.V.V., Uta Grosenick, a cura di: Le donne e l’arte nel XX e XXI secolo. Colonia 2002. Taschen editore.

Martina Corgnati: Artiste - dall’Impressionismo al nuovo millennio. Milano 2004. Bruno Mondadori.

Enrica Ravenni: L’arte al femminile. Roma 1998. Editori Riuniti.

Niki de Saint Phalle’s art remains larger than a grand Zurich show - Swissinfo.ch

Sito ufficiale della provincia di Grosseto

Niki de Saint Phalle - Nouveau Réalisme

Niki de Saint Phalle: la vita dell'artista delle nana - Elle



Voce pubblicata nel: 2012

Ultimo aggiornamento: 2024