Nel 1861 venne realizzata l’unificazione politica d’Italia. Che a questo atto formale non corrispondesse la realizzazione di quel sogno che Alessandro Manzoni aveva sintetizzato nei versi «una d’arme, di lingua, d’altare, di memorie, di sangue e di cor» (Marzo 1821) era anche troppo evidente. Il Nord e il Sud del nuovo Paese rappresentavano ancora due realtà, due mondi portatori di irriducibili differenze. Per conciliare le enormi differenze culturali, sociali ed economiche tra Nord e Sud sarebbe stato necessario riconoscerle e ricercare una maggiore giustizia sociale. Sarebbero occorse azioni mirate e pazienti. La strategia politica si finalizzò invece a una normalizzazione, che però nei fatti si sarebbe dimostrata assai difficile. Tra queste realtà impreviste vi fu senz’altro l’attività dei briganti, che diversamente dai banditi, presenti nel territorio prima e dopo l’Unità, non si consideravano solo ladri, ma motivavano la loro scelta come lotta contro gli “stranieri” e conquistatori.
Per combattere questa “resistenza” all’unificazione furono attuate misure di repressione eccezionali, di cui è un esempio la legge Pica, dell’agosto 1863. Con essa il governo italiano – in pieno accordo con il Parlamento – impose lo stato d’assedio, annullò le garanzie costituzionali e trasferì il potere ai tribunali militari.
Non poche donne parteciparono all’avventura dei briganti. La maggioranza di esse scelse di dare supporto ai propri uomini rifugiati sui monti rimanendo a casa. Il loro apporto era indispensabile, per portare viveri e notizie, nascondere e curare i feriti. Ma altre donne, non poche, scelsero di partecipare direttamente alla lotta armata. Probabilmente furono alcune centinaia. Si ricordano, però solo pochi nomi: Giuseppina Vitale, Chiara di Nardo, Rosaria Rotunno, Mariannina Cordù, Maria Pelosi, Filomeno Di Pote, Maria Maddalena De Lellis, Arcangela Cotugno, Elisabetta Blasucci, Francesca la Gamba.
Tra esse una delle più celebri è Michelina De Cesare. La sua notorietà è dovuta anche al fatto che di lei restano due foto da viva e un’immagine, terribile nella sua crudezza, da morta.
Le foto da viva furono probabilmente scattate da un fotografo al servizio dei Borboni. In esse la donna appare in tutta la sua bellezza, con un atteggiamento di sfida, armata come voleva il cliché della brigantessa, e abbigliata col costume tradizionale.
L’aspetto di Michelina in quella che la ritrae morta, pesta e contusa, sembra suffragare l’ipotesi che sia morta sotto tortura, anche se il rapporto redatto dal Comando generale parla di una morte dovuta ad arma da fuoco.
Michelina De Cesare nacque a Caspoli, in provincia di Caserta il 28 ottobre 1841. Secondo la testimonianza che il sindaco del suo paese rese alle autorità militari, Michelina fin da giovanissima aveva tenuto un atteggiamento ribelle. Egli la definì come refrattaria alla legge e ai buoni costumi, educata al furto fin da bambina. Ci resta tale testimonianza, non si sa se effettivamente rispondente ai fatti o ricostruita ex post a uso della giustizia.
Si sa che nel 1861 Michelina sposò tale Rocco Tanga, da cui rimase vedova appena un anno dopo.
Successivamente incontrò Francesco Guerra, capo di una banda che imperversava nella Terra del Lavoro, denominazione con cui era allora indicato il territorio che comprendeva ampie zone dell’attuale Lazio Meridionale, della Campania e del Molise.
Michelina decise di seguire Guerra, e ne divenne la consigliera. Forte della sua conoscenza dei luoghi, lo aiutò a programmare gli attacchi rivolti ai soldati italiani, ma anche a molte persone che erano state identificate come “ricche”.
La sorte che attendeva Michelina è stata simile a quella della maggior parte delle donne che avevano fatto la sua stessa scelta e che, a seguito di essa, hanno conosciuto la morte o la carcerazione. La strada del brigantaggio non permetteva ripensamenti.
Michelina, però, riuscì per ben tre anni a sfuggire al suo destino, nonostante la caccia molto determinata che venne data alla banda di Guerra.
La donna fu presa solo il 30 agosto 1868 a seguito della delazione di un massaio di Mignano. Egli, attirato dal compenso promesso a chi avesse passato informazioni utili alla cattura della banda Guerra aveva avvisato la Guardia nazionale della loro posizione. La Guardia nazionale aveva a sua volta allertato il fratello di Michelina, Giovanni De Cesare. Come spesso avveniva nella storia del brigantaggio, furono i conti sospesi in famiglia – liti, vecchi rancori, rappresaglie covate nel tempo, che determinarono l’esito. Anche in questo caso fu essenziale l’apporto di un familiare: fu proprio Giovanni che condusse nel posto indicato la Guardia nazionale e un gruppo di soldati del 27° fanteria agli ordini del maggiore Lombardi.
La cronaca della cattura viene riportata in un rapporto del Comando generale.
Per quanto concerne espressamente Michelina esso dice:
«… il compagno che con lui (Guerra) si intratteneva, appena visto l’attacco, tentò di fuggire; una fucilata sparatagli dietro dal medico di Battaglione Pitzorno lo feriva, ma non al punto di farlo cadere, che continuando invece la sua fuga, s’imbatteva poi in altri soldati per opera dei quali venne freddato: Esaminatone il corpo, fu riconosciuto per donna e quindi per Michelina De Cesare druda del Guerra».
Anche in questo scritto per indicare la compagna di un brigante viene utilizzata l’espressione dispregiativa “druda”, tratta dal gaelico. Essa sta a indicare l’amante disonesta, la femmina di malaffare: le cronache del tempo infatti erano spietate nel giudicare le donne che trasgredivano alle leggi, ma soprattutto alle regole imposte al loro sesso. Nei documenti civili e militari dello Stato unitario, nei resoconti processuali e nelle cronache dei giornali del Nord esse venivano descritte come femmine lussuriose e spietate. La condanna nei loro confronti era inappellabile: esse avevano trasgredito alle leggi dello Stato e anche a quelle, non scritte, dei comportamenti di genere.
E, nel caso di Michelina, alle parole fu aggiunto un ultimo oltraggio: il suo corpo fu esposto nudo nella piazza centrale di Mignano. Oltraggio e monito.
Antonio Lucarelli, Il brigantaggio politico del Mezzogiorno d'Italia (1815-1818), Milano, Longanesi, 1982
Franco Molfese, Storia del brigantaggio dopo l'Unità, Milano, Feltrinelli, 1983
Monica Mazzitelli, Di morire libera - La vita ardente di Michelina Di Cesare, briganta, Roma, Lorusso editore, 2019
Referenze iconografiche:
Prima immagine: Brigante Michelina de Cesare. Fonte: viselli.it. Immagine in pubblico dominio.
Seconda immagine: Michelina de Cesare. Fonte: palatucci.it. Immagine in pubblico dominio.
Voce pubblicata nel: 2012
Ultimo aggiornamento: 2023