Mary nasce il 30 agosto 1797 da William Godwin e da Mary Wollstonecraft, due tra i più famosi e discussi intellettuali del tempo. Mary Wollstonecraft (1759-1797) era stata l’autrice di A Vendication of the Rights of Woman (Rivendicazione dei diritti della donna, 1792), testo che l’aveva resa celebre nel mondo dei rivoluzionari, tanto che era stato pubblicato persino nel Regno di Napoli. Aveva fatto parte del gruppo dei radicali dissenzienti che si riuniva intorno all’editore Joseph Johnson, formato da William Godwin, Tom Paine, William Blake, Heinrich Füssli e altri che avevano con entusiasmo aderito alla Rivoluzione Francese sperando nell’avvento di un mondo senza guerre e senza diseguaglianze sociali. Era andata a Parigi come giornalista per seguire la rivoluzione e qui, negli anni del Terrore, aveva avuto una relazione con l’americano Gilbert Imlay, e una figlia, Fanny, che poi William Godwin avrebbe adottato. Aveva viaggiato per affari in Scandinavia e scritto romanzi e libri di vario genere tutti incentrati sulla vita delle donne (e due romanzi Mary: A Fiction e Maria: or The Wrongs of Woman). Tornata a Londra, in seguito al crollo di ogni ideale e all’abbandono di Imlay, aveva tentato due volte il suicidio. L’aveva aiutata a superare la grave depressione l’amico William Godwin (1756-1836) filosofo, scrittore, romanziere, famoso per il trattato Inquiry Concerning Polical Justice (1793) e il romanzo Caleb Williams (1794), assiduo frequentatore dei più importanti scrittori e scienziati, reduce, come lei, dalle conseguenze della sconfitta. Anarchico e pacifista, generoso maestro, era stato implicato come filo-giacobino, e poi assolto, nei processi del 1794 contro i nemici della patria, ma costretto, a causa proprio di quei trascorsi politici, a sudarsi il pane con difficoltà. Il matrimonio tra quei due grandi rivoluzionari e l’imminente nascita di un figlio furono coralmente sentiti, nel loro ambiente, come un inizio di ripresa e speranza per tutti.
Ma la piccola Mary non ha madrine benevole. Il 10 settembre Mary Wollstonecraft muore di febbre puerperale lasciando un Godwin disperato che si aggrappa alla speranza di ritrovare nella neonata le qualità della madre e ne chiede conferma al frenologo William Nicholson che, il 18 settembre, misura accuratamente il piccolo cranio ed emette profezie benevole.
La bimba, ossessionata dall’angoscia di aver determinato la morte della madre, assume quei due cognomi, Wollstonecraft e Godwin, che si era trovata addosso come una condanna nell’Inghilterra reduce vittoriosa dalla guerra contro la Francia, come una bandiera. Per tutta la vita, con orgoglio e umiltà, studia e ama le opere dei genitori, e, come in un gioco di specchi, ne riprende soggetti e temi. Corrisponde, cioè, alle grandi aspettative di Godwin, cui si aggiungeranno poi quelle di Shelley.
“Non è strano che io, figlia di due persone di celebre fama letteraria, abbia pensato molto presto a scrivere. […] Mio marito, comunque, ebbe sempre un gran desiderio che mi dimostrassi degna della mia famiglia e che scrivessi il mio nome nel libro della fama” avrebbe scritto nel 1831 nella Prefazione alla seconda edizione di Frankenstein.
Cresce sotto al grande ritratto che John Opie aveva eseguito di Mary Wollstonecraft e che Godwin non toglierà mai dal suo studio neppure dopo il matrimonio, nel 1801, con Mary Jane Clairmont (vedova e madre di Jane, chiamata poi Claire, e Charles e con cui ebbe William) e trascorre gran parte dell’adolescenza leggendo e studiando i libri della madre sulla sua tomba, nel sagrato della chiesa di Saint Pancras, finché Godwin, per distrarla, non la manda a più riprese in Scozia dall’amico capitano Robert Baxter e dalle sue figlie. E tuttavia è ancora sulla tomba della madre che incontra il baronetto Percy Shelley che la trascinerà in una vita d’amore e di passioni per la scrittura, la poesia, l’arte, la rivoluzione.
Percy Shelley (1792-1822), giovane poeta rivoluzionario, cacciato dall’Università di Oxford per un libretto antiecclesiastico, scritto insieme all’amico Thomas Hogg, The Necessity of Atheism (La necessità dell’ateismo), e dalla sua stessa famiglia (il padre lo aveva diseredato), soffriva di ogni ingiustizia e miseria altrui come se fossero state inferte a lui stesso e si prodigava in ogni modo, con gli scritti e i mezzi finanziari di cui disponeva, per alleviarle; aveva considerato suoi genitori morali e intellettuali la madre e il padre di Mary. In Mary aveva trovato se stesso, i suoi sogni, i suoi ideali... "Shelley il pazzo". come lo chiamavano i compagni, reduce da una spedizione in Irlanda a sostegno dei cattolici insieme alla moglie, Harriet Westbrook (che aveva salvato dalla tirannia paterna e dalla reclusione in collegio) fu subito pronto ad aiutare finanziariamente Godwin che, per mantenere la numerosa famiglia aveva intrapreso una attività editoriale in Skinner Street fra ingenti difficoltà economiche; entrò come un fulmine nella casa del filosofo, conquistando il cuore del padre e delle figlie, e pretendendo poi di avere Mary, allora sedicenne, come compagna di vita. Di fronte alla proibizione di Godwin, dopo un anno di scenate, interdetti e minacce di suicidio da parte di Shelley, e nonostante l’indignazione dell’opinione pubblica che insorgeva a difendere la prima moglie di Shelley, già madre di una bimba e in attesa di un secondo figlio, i due fuggono dall’Inghilterra insieme a Claire, la sorellastra di Mary, il 28 luglio 1814. In Europa scrivono un diario a quattro mani History of a Six Weeks Tour Trough a Part of France, Switzerland, Germany and Holland (Storia di un viaggio di sei settimane attraverso parte della Svizzera, della Germania e dell’Olanda, Ollier 1817), che doveva segnare l’inizio pieno di speranza del loro sodalizio ma che fu poi l’unica opera che redassero insieme, anche se dialogheranno sempre attraverso i loro scritti. Nello stesso anno, il 30 novembre, nasceva Charles Shelley, secondogenito di Shelley e Harriet e pochi mesi dopo, il 22 febbraio 1815 la prima figlia di Mary e Shelley, che sarebbe morta poco dopo, il 6 marzo, ancora senza un nome, che Mary avrebbe sognato e rimpianto a lungo. Il 24 gennaio 1816 nasce William, il secondo figlio; a maggio Mary e Percy, insieme a Claire (incinta di Lord Byron), si recano in Svizzera, sul lago di Ginevra, per incontrare il famoso poeta che risiedeva in Villa Diodati, con il suo medico personale William Polidori. Qui Mary pensa e inizia Frankenstein, or The modern Prometheus (Frankenstein, il moderno Prometeo) e Polidori scrive Il Vampiro.
“Io vidi - con gli occhi chiusi ma con una acuta visione mentale - io vidi il pallido studente di arti proibite inginocchiato di fronte alla cosa che aveva messo insieme. Vidi la forma orribile di un uomo disteso, e poi grazie all'opera di qualche potente strumento, lo vidi dar segni di vita e agitarsi con un penoso moto semi-vitale”.
Con queste parole, ormai famose, Mary Shelley parla dei "sinistri terrori del mio sogno ad occhi aperti", quello di un morto che riprende a vivere (come gli scienziati di allora, Luigi Galvani, Erasmus Darwin, Giovanni Aldini, che lei ben conosceva e ammirava, cercavano di ottenere) e che ucciderà chi l’ha creato. Ma paura, terrore, orrore, coincidenza di realtà e di sogno sono anche lo stato d'animo dei suoi amici, nell'estate senza sole del 1816, per le polveri dell’eruzione del vulcano Tambor, tutti in fuga dall'Inghilterra in cui la rivoluzione industriale invece di realizzare la ricchezza preannunciata dagli economisti liberali aveva portato alle cariche della polizia anche sulle donne e sui bambini affamati durante i moti luddisti del 1811-12. Vivono il loro tempo, l’età della restaurazione, con i sovrani spodestati che tornano sui loro troni, come “The Age of despair” “l’età della disperazione” (Shelley, prefazione a The Revolt of Islam, 1817).
Inseguiti dalla fama di essere satanisti, atei e incestuosi (Mary e Percy non erano ancora sposati, si diceva che Shelley avesse una relazione anche con Claire, Byron aveva dovuto fuggire da Londra per lo scandalo legato alla sua presunta relazione incestuosa con la sorella Ada), diventano medium del loro tempo: dalla loro fantasia e dai loro scritti escono infatti le due figure nere che sono arrivate fino a oggi: lo scienziato Frankenstein, tutt’uno con la sua mostruosa creatura, e il Vampiro, male che ritorna dal cosmo come razza superiore che esige tributo di sangue, quasi profezie dei tempi a venire. Ma persi nei loro sogni di palingenesi universale, Mary e Percy non erano in grado di valutare fino in fondo le conseguenze delle loro azioni. Al loro ritorno in Inghilterra, alla fine di agosto, tutto precipita. Il 9 ottobre Fanny, che aveva saputo di non essere figlia di Godwin ed era perseguitata dallo scandalo della sorella fuggita con Shelley, si suicida. Il 10 dicembre viene rinvenuto nella Serpentine in Hyde Park il corpo di Harriet, il cui suicidio permette il matrimonio, il 30 dicembre, tra Mary e Shelley e la riconciliazione con Godwin. All’inizio del 1817 Claire partorisce Allegra, la figlia che Byron riconoscerà a patto che venga consegnata a lui e non veda mai la madre (non recederà mai da questo proposito e il 20 aprile del 1820 Allegra morirà a sei anni nel convento di Bagnacavallo in Romagna senza aver quasi mai visto la madre).
La scrittura diventa così luogo di vita per Shelley e Mary. Si buttano fuori di sé in un mondo di figure e parole. Per tutto il 1817 Mary continua a scrivere Frankenstein. La morte la ossessiona sempre più:
"Mi pareva di vedere Elisabeth, piena di salute, a passeggio per le strade di Ingolstadt. Felice e sorpreso l'abbracciai, ma come impressi il primo bacio sulle sue labbra, esse divennero livide del colore della morte; i suoi lineamenti sembravano mutare e mi parve di stringere tra le braccia il corpo di mia madre morta; un sudario ne avvolgeva la forma, e vidi i vermi dei cadaveri brulicare attraverso le pieghe della stoffa" (cap.V).
Frankenstein, che lei dedica al padre, termina con un rogo. Anche Shelley fa morire sul rogo i suoi eroi, Laon e Chytna (The Revolt of Islam), due giovani amanti (fratello e sorella nella prima versione, poi modificata per volontà dell’editore che temeva lo scandalo), uccisi dal potere tirannico che avevano sperato di abbattere. Scriverà Mary, qualche anno dopo “I cannot live as I do…. without a methafor I cannot live”, “Io non posso vivere come vivo….senza metafore io non posso vivere” (Journals I, p. 452). Il tribunale di Londra nega a Shelley la patria potestà sui figli avuti da Harriet. A settembre Mary partorisce Clara Everina. Il 1818, che vede la pubblicazione di Frankenstein, preannuncia un ulteriore inasprimento delle decisioni del Tribunale per togliere a Shelley la patria potestà anche sui figli avuti da Mary.
A questo punto, a marzo, Mary e Percy coi bimbi e Claire con Allegra lasciano l’Inghilterra, per sempre, ratificando il loro destino di paria. Per otto anni viaggiano incessantemente, coi bimbi piccoli e nonostante le continue gravidanze di Mary, sperando in una rigenerazione; ma la traversata dell’Italia si rivela un susseguirsi di lutti e di tragedie. Con un ritmo di persecuzione, a ogni sosta di serenità, subentra un viaggio attraverso la morte e la disperazione. Cercano e incontrano altri esuli come loro. E tra questi, al primo posto, lord Byron, al quale li lega quasi un vincolo di sangue, più ancora che un’amicizia. Ma è nel viaggio verso Venezia per incontrarlo che la piccola Clara muore il 24 settembre 1818. Vanno a Livorno dagli amici Maria e John Gisborne e poi a Roma, per visitare John Keats, nel culmine della sua malattia, e Amalia Curran, che li ritrae; dopo una lunga sosta a Napoli, peraltro funestata da uno scandalo (mai del tutto chiarito) legato alla nascita di una bimba, Maria Adelaide, forse di Shelley e di Claire, subito affidata a una famiglia napoletana, tornano a Roma, dove il piccolo William muore nel giugno 1819 gettando Mary, ma anche Percy, in una depressione che li porta quasi al suicidio. A Roma Shelley scrive, sulla vicenda di Beatrice Cenci giustiziata a Roma, nel 1600, per avere ucciso il padre che l’aveva violentata, la tragedia I Cenci, in cui esprime tutto il suo disgusto per una civiltà intrisa di stupri e prevaricazioni legittimata dal potere del padre nella famiglia e dalle istituzioni religiose e civili. Tre mesi dopo, nell’ottobre 1820, e nel pieno della depressione che le aveva tolto anche volontà di parola, Mary scrive Mathilda. Sull’incesto padre figlia, tema di tanti miti, tragedie e fiabe, da Edipo a Mirra, che aveva letto in Ovidio e in Alfieri (e avrebbe voluto tradurre); Romantic Tale pubblicato postumo nel 1956 (Godwin, ricevuto il manoscritto, lo aveva giudicato “disgusting”, “disgustoso”, e buttato in un cassetto da cui sarebbe uscito solo negli anni Cinquanta di un secolo dopo). La sua vicenda esistenziale prende ancora corpo (morte per parto della madre, bisogno di amore non esaudito, incesto psicologico con il padre), e si amplifica fino alle ultime conseguenze, suicidio del padre, abbandono da parte del poeta, morte per consunzione, diventando una extended metaphor, una metafora ampliata (Journals, II p. 447) della sua realtà. Ma anche di quella femminile. Mathilda è un’antieroina romantica, rinchiusa del potere dell’amore del padre (Sapegno, 2018) “Era lui l’unico essere vivente che ero destinata ad amare” o del marito, in una prigione da cui non riesce e non sa, e forse non osa del tutto, uscire (Davemport-Garret M., 1995), costretta alla fuga, alla vergogna, all’occultamento della colpa, a considerare il dolore come l’unico suo tesoro: “Il mio dolore è solo mio…è il solo tesoro che mi rimane” (Valperga). Il tema del distacco violento dalla madre ad opera del potere maschile “Dear mother, don’t leave me not”, ”Cara madre, non lasciarmi”, torna in Proserpine, dramma mitologico in versi che scrive subito dopo.
Nel novembre 1819 nasce, a Firenze, Percy Florence, e Mary riprende a vivere. Dal gennaio del 1820 all’aprile del 1822 Mary e Percy sostano a Pisa. Qui, mentre iniziano i moti rivoluzionari in Europa e la Grecia sta per insorgere, incontrano un folto gruppo di Inglesi tra cui Lady Mountcashell che era stata allieva di Mary Wollstonecraft, e poi Jane ed Edward Williams e John Trelawny, con cui divideranno poi tanta parte della vita. La gentilezza degli abitanti e soprattutto il calore dell’amicizia inaspettatamente trovata si rivelano una cura per entrambi. Iniziano addirittura a tradurre insieme Dante in inglese. “Pisa è... il paradiso degli esuli... il rifugio dei paria... ... Pisa is the Paradise of exiles... the retrait of Pariahs..” (scrive Shelley a Thomas Medwin). Mary stringe amicizia con il principe greco Alessandro Maurocordato, esiliato a Pisa, che avrebbe partecipato alla difesa di Missolungi insieme a Byron.
Mary conosce finalmente momenti di grande dolcezza e riesce a scrivere il romanzo che segna la sua rinascita e a cui pensava da tempo, fin dal 1817, Valperga or The Life and Adventures of Castruccio, Prince of Lucca, Valperga Vita e avventure di Castruccio, principe di Lucca, un grandioso affresco della storia medievale e parte della storia delle donne che sua madre avrebbe voluto scrivere. Lo vive come un figlio, flesh and blood e ne parla come di una gravidanza e di una maternità difficili.
“È stato proprio come avere un bambino che fatica a crescere, dal momento che l’ho concepito nella nostra biblioteca di Marlow. Ho voluto il corpo nel quale poter incarnare il mio spirito. Ne ho trovato il materiale a Napoli, ma cercavo altri libri…non l’ho però iniziato che un anno più tardi a Pisa…”
scrive a Maria Gisborne, il 30 giugno 1821. È un historical romance in cui le vicende personali vengono ancora una volta trasposte nei personaggi, ma la narrazione è distesa, come nei contemporanei Walter Scott, William Godwin, Matthew Gregory Lewis, Ann Radcliff, di cui tuttavia Mary rovescia il canone che prevedeva eroi maschili supportati da figure femminili. Castruccio, il famoso condottiero, è co-protagonista soltanto insieme a due donne, Eutanasia e Beatrice, che lo amano ma gli si contrappongono perché rifiutano le sue scelte di guerra. Le due protagoniste femminili, Eutanasia e Beatrice, e le eretiche Guglielma e Maifreda, (ne parlerà ben due secoli dopo Luisa Muraro nel celebre saggio Guglielma e Maifreda, Storia di un’eresia femminista del Medio Evo, 2003, La Tartaruga, Milano) col loro sogno di una Trinità femminile che cambiasse il mondo, unisse cristiani ebrei e musulmani, rifondasse la chiesa, cancellasse le guerre anche di religione, disegnano un quadro grandioso di forze e di profezia, sono le protagoniste di una storia alternativa al patriarcato, impersonato da Castruccio, sconfitta ma invincibile. Tutti vi compaiono trasfigurati: Mary Wollestonecraft in Beatrice, Mary stessa e Shelley in Eutanasia, Godwin, nei personaggi buoni e pacifici del romanzo. Ma Mary, a un certo punto, non riesce a proseguire nella lunga narrazione: è ossessionata dall'immagine di un bel corpo giovane che dorme nelle melmose caverne dell'oceano mentre le alghe si intrecciano ai suoi capelli lucenti e gli spiriti dell'abisso, i cieli misericordiosi, i gabbiani e i tuoni piangono. Immagina così che “Immense scure colonne” scendano dal cielo e travolgano la nave su cui viaggia Eutanasia. La sua eroina muore improvvisamente in un naufragio e con lei il suo sogno di pace. Scrive: “Non si seppe più nulla di lei e anche il suo nome perì…la terra non avvertì nessun cambiamento quando ella morì e gli uomini la dimenticarono… tuttavia mai uno spirito più leggiadro cessò di respirare né più incantevole forma fu distrutta fra le tante cui dà vita…” (p.600 ). Anni dopo, nel 1824, commentando la morte di Shelley, avrebbe usato quasi le stesse parole. A Pisa Shelley si avventura in nuovi amori: nella bella Teresa Viviani, diciannovenne, sofferente in un convento da tre anni, vede una vittima reclusa, e ne organizza la fuga; ma quando finalmente giunge al convento per liberarla, lei non c’è più: se ne è andata sposa ad un altro! Shelley ne soffre e Mary ne ride. Legge, divertita, il poemetto Epipsychidion in cui lei stessa viene cantata come “cold chaste moon”, “fredda casta luna”, l’eterno amore, che adesso andava sommato a quello per Teresa e anche…per Claire. Anni dopo avrebbe narrato l’ingenuità di Shelley in un racconto pieno di humour, La sposa dell'Italia moderna.
Ma poi partono di nuovo, nel Golfo della Spezia che in loro memoria sarà chiamato Golfo dei Poeti, e si stabiliscono a San Terenzo di Lerici insieme agli Williams, nella bianca casa che ancora si affaccia sul mare. E qui la loro fuga si conclude tragicamente. Shelley, l’8 luglio 1822, insieme all’amico Edward Williams e al giovane mozzo Charles Vivian, muore in un naufragio di fronte a Viareggio. Il 14 agosto i loro corpi vengono cremati sulla spiaggia di Viareggio. Le ceneri di Shelley vengono sepolte nel cimitero protestante di Roma accanto alle spoglie del piccolo William. Mary si trova così sola a 24 anni insieme al piccolo Percy Florence. Disperata, sosta a Genova per un anno, accanto agli amici Marianna e Leight Hunt e a Lord Byron e Teresa Guiccioli, e poi si rassegna a rientrare nella Londra che non le aveva perdonato la fuga con Shelley. Qui, nella solitudine e nell’emarginazione (benché il suo Frankenstein venga rappresentato a teatro e vada poi in tournée per l’Europa e l’America), vive di scrittura, l’unico suo mezzo di sostentamento ma anche suo universo di vita, pieno di ricordi laceranti. Continuando a sognare l’amata Italia (dove tornerà due volte, nel 1840 e nel 1842, insieme al figlio, che aveva ereditato dal nonno sir Thimoty) e a sostenere i suoi patrioti esuli. Non dimentica mai gli ideali per cui tutti loro avevano lottato senza risparmiarsi in nessun modo, da Mary Wollstonecraft e Godwin a Shelley, che era morto proprio mentre lavorava, con Byron e l’amico editore Leight Hunt, alla creazione di una rivista, «The Liberal», che avrebbe dovuto sostenere gli ideali liberali e rivoluzionari in Europa contro la Santa Alleanza. Byron morì poi in Grecia dove si era recato a combattere per la libertà di quel popolo contro i Turchi nel 1824 e Mary ne vide il solenne funerale a Londra (che ora lo onorava).
Ci hanno lasciato entrambi, oltre ai diari e moltissime lettere, opere difficili, piene di passione per l’umanità e per l’universo. Percy scrisse saggi filosofici e letterari, traduzioni, poemetti in versi, drammi, invettive contro la guerra e gli stati, liriche bellissime, in cui la poesia non è mai disgiunta dall’impegno civile e sociale, anzi diventa il tramite per la realizzazione, almeno nel mondo del sogno e della parola, dell’utopia. Sempre dialogando con Mary, in una ininterrotta tensione intellettuale e spirituale. Il suo Prometheus Unbound, Prometeo liberato, dramma lirico, che viene ancora rappresentato a teatro, su un Prometeo datore di vita fino al sacrificio che libererà l’amore nell’universo, si contrappone a Frankenstein, il moderno Prometeo di Mary. Il dialogo continua anche dopo la morte di Shelley, per sempre. Shelley a San Terenzo, oltre a bellissime liriche dì amore dedicate a Jane Williams, aveva scritto un poemetto in terzine, The Tryumph of Life, Il Trionfo della Vita che era in realtà un trionfo della morte e Mary rientrata a Londra scrive The Last Man, L’Ultimo Uomo, in cui immagina che una peste invincibile si estenda sulla terra portando via tutti gli abitanti tranne Lionel, figura androgina, trasposizione di se stessa, che alla fine affronta, sola, il mare e il futuro su una barca con i libri di Omero e Shakespeare. Mary scrive anche un poemetto in versi dedicato a Shelley, The Choice, La Scelta, e due romanzi, Lodore nel 1835 e Faulkner nel 1837, molti racconti e vite di uomini illustri d'Italia, Spagna, Portogallo e Francia. Nel 1839, superando finalmente il divieto del suocero, pubblica The Poetical Works of Percy Bysshe Shelley; Essays, Letters from Abroad, Translations and Fragments, Opere poetiche di Percy Bysshe Shelley, Saggi, Lettere dall’estero, traduzioni, frammenti in 4 volumi, che rimane tuttora fondamentale per la comprensione dell’opera di Shelley. E in cui crea la figura di Shelley, angelo per l’umanità, che avrebbe conquistato socialisti e anarchici, letterati e poeti, operai e sottoproletari in Italia e nel mondo.
Il 1° febbraio 1851 Mary muore a Londra in Chester Square. Viene sepolta nel cimitero di St. Peter a Bournmouth vicino alle tombe di Mary Wollstonecraft, William Godwin e al cuore di Shelley, che, secondo una leggenda, l’amico Trelawny le avrebbe portato dopo averlo sottratto alle fiamme del rogo.
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Referenze iconografiche: Reginald Easton, Miniatura di Mary Shelley, 1857. Immagine in pubblico dominio.
Voce pubblicata nel: 2021
Ultimo aggiornamento: 2023