Lucrezia era figlia del potentissimo cardinale Rodrigo Borgia e di Vannozza Cattanei, la donna più a lungo amata dal cardinale, al quale aveva dato quattro figli: Cesare, Juan, Lucrezia e Joffré. Il cardinale Rodrigo aveva avuto figli da altre donne, ma riservò un affetto speciale a quelli avuti da Vannozza; soprattutto la bella bambina bionda dagli occhi azzurro-chiaro occupò immediatamente un posto speciale nel cuore del padre che per la sua educazione la affidò alla cugina Adriana Mila Orsini.
L’11 agosto del 1492 Rodrigo fu eletto papa con il nome Alessandro VI. Lucrezia divenne subito la sposa più ambita da quanti aspiravano alla protezione del padre. Fu prescelto il signore di Pesaro, Giovanni Sforza: la sua famiglia aveva sostenuto più che attivamente l’elezione dell’ambizioso cardinale al soglio di Pietro.
Nel 1493 a Roma furono celebrate le nozze, magnifiche, con feste, danze e cortei. Il conte di Pesaro guidava una cavalcata festosa e fastosa: palafrenieri in gonnelli di broccato, schiere di fanciulli vestiti a festa, dame e cavalieri in abiti sontuosi facevano da corona al genero del papa. Lucrezia rivestita di broccato e gioielli si voltava a guardare con curiosità di bambina lo strascico sontuoso sorretto da una schiavetta nera, secondo la moda più raffinata del tempo. Aveva tredici anni, un’ età considerata adatta al matrimonio; lo sposo ne aveva ventisette, anche questo abbastanza normale, tuttavia sembra che entrambi sentissero il disagio fisico e morale della loro condizione. Il matrimonio, affrettato per ragioni politiche, sembra non aver mai avuto la sua naturale conclusione.
Appena due mesi dopo la cerimonia il conte se ne tornò a Pesaro lasciando nel palazzo di Santa Maria in Portico Lucrezia che si preparava, senza fretta, a lasciare Roma. Il 31 maggio del 1494 la sposa partì: era accompagnata da Adriana Mila alla quale il papa aveva affidato la direzione del viaggio, e da Giulia Farnese, e dal loro corteo di donne e cavalieri. Il viaggio fu lungo ma piacevole, interrotto da una sosta in Urbino dove le signore furono accolte e festeggiate da Guidobaldo da Montefeltro e dalla moglie Elisabetta Gonzaga, che presiedevano una corte tra le più scintillanti d’ Italia. Il 14 giugno la nuova contessa di Pesaro, alla testa della sua cavalcata, entrò nella sua città preparata per l’occasione. La festa, purtroppo, fu danneggiata da maligne condizioni atmosferiche accompagnate da rovinosi acquazzoni. Il giorno dopo ritornò a splendere il sole e, una volta asciugate le signore, iniziarono i festeggiamenti, i balli e le rappresentazioni.
Ma la storia prendeva una via perversa. Il 1494 fu un anno funesto per l’Italia: con la discesa del re di Francia, Carlo VIII, la penisola divenne il teatro di battaglia e la preda ambita delle potenze europee. La contessa di Pesaro se ne stava tranquilla al riparo della tempesta francese nella sua piccola corte pesarese dove mostrò subito di possedere quel solido buon senso e l’attitudine ottimista che le fu di grande aiuto nelle tormentate vicende della sua non comune vita. Ascoltava con benignità quanti le si rivolgevano, parlava con decoro e dolcezza, trattava il matrimonio di una sua damigella spagnola e l’acquisto di gemme e tessuti, scambiava visite con la letteratissima corte dei duchi di Urbino. Era per lo più sola perché il marito militava, senza grandi risultati, al servizio del papa, il quale reclamava la presenza della figlia a Roma.
Gli odori di guerra e gli schieramenti che si stavano profilando avevano convinto Alessandro VI a cambiare alleanza. La potenza degli Sforza a Roma era in declino, il matrimonio con Giovanni non era più un buon affare; Alessandro VI decise di scioglierlo. Il frigido conte di Pesaro, come era stato costretto a confessare, o almeno di tiepidi, se non di diversi, appetiti, aveva tentato di opporsi, ma alla fine aveva ceduto, non senza prima aver lanciato l’infamante sospetto di amori incestuosi tra la moglie e il papa. Il 18 novembre del 1497 nel palazzo comitale di Pesaro gli inviati del papa dichiararono sciolto il matrimonio.
In attesa che gli eventi si compissero Lucrezia si era rifugiata nel convento delle suore domenicane di San Sisto, al riparo da sguardi malevoli, o solo curiosi, ma non dalle notizie luttuose. La morte dell’elegante, festoso e frivolo fratello Juan, e la certezza che la mano omicida fosse dell’altro amato fratello Cesare le avevano causato dolore e smarrimento. Era tornata a vivere in Vaticano: al cubiculario Pedro Calderon, detto Perotto, fu affidato il delicato incarico di trasmettere i messaggi tra padre e figlia. Si formò un’ amicizia e forse un amore, che diede i suoi frutti.
Un dispaccio datato il 18 marzo 1498 affermava: “Da Roma accertasi che la figliola del papa ha partorito”. La storia fu particolarmente sgradita a Cesare, che per la sorella aveva altri piani. In una Roma buia e deserta, tutte le case serrate, il cadavere di Perotto fu trovato nel Tevere con quello di Pentesilea, la prediletta compagna di Lucrezia ritenuta complice dell’"ignobile" tresca.
Intanto in tutta Italia si muovevano nuovi pretendenti alla mano di Lucrezia, il matrimonio della quale era affare tanto importante da toccare non solo il privato ma anche “il pubblico d’Italia". Le richieste matrimoniali stavano a dimostrare che le accuse mossa dal conte di Pesaro, credute o meno, non avevano fatto paura; tuttavia in questo periodo si forma l’opinione pubblica che attribuiva a Lucrezia la fama di cortigiana libertina artefice di oscuri intrighi e il titolo di ‘più gran puttana di Roma’. La vita borgiana, perturbante per l’immaginazione popolare, trovò ascolto anche presso i letterati: Giovanni Pontano e Jacopo Sannazaro lanciarono contro la figlia del papa strali acuminati in forma di versi. Le dicerie venivano diffuse dai tanti nemici dei Borgia, e furono trasmesse ai posteri da Burcardo, ma non hanno riscontro nei resoconti che venivano inviati periodicamente nei vari stati italiani. I relatori, assai ben informati, infatti conoscevano l’episodio segreto di Pedro Calderon, ma non riferiscono di altri amori o storie immorali di Lucrezia.
Intanto Alessandro VI e Cesare valutavano e soppesavano le proposte matrimoniali, ma avevano già deciso: il candidato prescelto era Alfonso, figlio illegittimo di Alfonso II d’Aragona, re di Napoli, al quale il padre aveva concesso il titolo di duca e il territorio di Bisceglie. Nel luglio del 1498 negli appartamenti Borgia furono celebrate le nozze; i due giovani, entrambi meno che ventenni, si piacquero e il matrimonio si avviò con lieti auspici e fausto risultato: dopo pochi mesi Lucrezia era incinta e felice sposa di quel marito bello, gaio e sentimentale.
Il 16 maggio 1499 giunse a Roma la notizia che Cesare, dismessa la carica cardinalizia, in Francia aveva, finalmente, sposato Carlotta d’Albret, figlia del re di Navarra, ottenendo il ducato di Valentinois (per questo la storia lo ricorderà come ‘il Valentino’). Le nozze francesi che ventilavano un avvicinamento del papa a Luigi XII preoccupavano il re di Napoli e facevano paventare nuove alleanze e diversi piani dei Borgia. A conferma delle preoccupazioni del re napoletano i francesi discesero di nuovo nella penisola, puntavano al ducato di Milano ma nessuno aveva dubbi: l’obiettivo finale era il regno di Napoli. Il papa esibiva la sua neutralità, ma gli ambasciatori spagnoli e napoletani che ben conoscevano le trame dei Borgia, e ne temevano le prevedibili conclusioni, misero sull’avviso Alfonso istruendolo sui pericoli che correva. Il duca di Bisceglie, il 2 agosto, montò a cavallo con piccola scorta per tornare a Napoli da dove reclamava la presenza della moglie.
Alessando VI non era disposto a veder partire la figlia. La sposa abbandonata, “non fa che piangere” scrivono gli informatori: il padre, per distrarla o per trattenerla entro i confini, pensò bene di nominarla governatrice di Spoleto ove Lucrezia giunse accompagnata da un corteo sontuoso. Presentò ai notabili i brevi di nomina e si impegnò a svolgere il suo compito con diligenza e serietà come aveva già fatto a Pesaro. Riceveva i magistrati, ascoltava i discorsi con grazia e pazienza, ascoltava suppliche e ricorsi mentre inviava messaggeri a Napoli in attesa che le cose si rasserenassero. Prima donna governatrice nello Stato della Chiesa in un territorio cruciale per il passaggio dal Tirreno all’Adriatico, il ruolo di Lucrezia rientrava nel progetto paterno della costruzione di uno stato romagnolo.
In settembre Alfonso cavalcò verso Spoleto dove si ricongiunse alla moglie e insieme gli sposi rientrarono a Roma. Lucrezia partorì nel suo palazzo di Santa Maria in Portico dove i duchi di Bisceglie raccolsero una piccola corte raffinata. La loro vita sembrava avviata in una affettuosa e piacevole convivenza ma la presenza dei francesi in Italia rendeva Alfonso sospettoso e Cesare nervoso. Il duca aragonese dichiarava i suoi sospetti con coraggio e imprudenza e si adoperava, con il sostegno della moglie, per proteggere e favorire la sua famiglia mentre a Cesare pesava il legame con la famiglia d’Aragona ora che il re di Francia aveva conquistato Milano e distrutta la dinastia degli Sforza.
Il 15 luglio del 1500 il duca di Bisceglie era andato a visitare la moglie e aveva cenato con il suocero. Salutati i familiari era uscito dal Vaticano accompagnato da un gentiluomo e da uno staffiere. Fu circondato da tre uomini che gli furono addosso con le spade e, nonostante il suo coraggio e quello dei suoi compagni, Alfonso fu ferito e trascinato al riparo all’interno del Vaticano, lacero e sanguinante. Lucrezia, che era svenuta alla vista del marito morente, si riprese subito e si impegnò con dedizione alla sua cura. Alfonso fu trasportato nella torre dei Borgia dove la moglie, senza lasciare mai la stanza, stava di guardia. Sentiva montare le marea del pericolo, infatti per Roma si era diffusa la voce che a far tutto fosse stato il duca Valentino “per invidia”.
La giovinezza e la costituzione robusta di Alfonso prevalsero sulle ferite e la moglie, apparentemente rassicurata, lasciò la stanza per poche ore. Non vide mai più il marito vivo: il duca di Bisceglie cadde ucciso nella torre borgiana dai sicari di Cesare. La disperazione e i pianti della duchessa si sentirono per tutto il Vaticano e per la città, finché ella chiese e ottenne dal padre di ritirarsi nella sua terra di Nepi dove arrivò il 31 di agosto con una comitiva di seicento cavalli e con il piccolo Rodrigo. Nel suo rifugio non le fu risparmiata la visita del fratello giunto fra squilli e fanfare con la parte più brillante del suo esercito.
Appena un mese dopo la morte di Alfonso ricominciarono le proposte di matrimonio: il papa e Cesare si misero subito a trattare con questo e quello, Lucrezia, tornata in città ai primi freddi, si oppose a nuove nozze perché “i miei mariti sono malcapitati”, dichiarò. Le sue resistenze si attenuarono quando si cominciò a prospettare la possibilità di un matrimonio con Alfonso d’Este, erede del ducato di Ferrara. La prospettiva le appariva come un porto calmo al sicuro entro le mura di Ferrara, lontano da Roma e da quella famiglia. Alessandro VI aveva accolto il suggerimento con entusiasmo, gli Estensi con preoccupazione e sdegno. Erano una delle più antiche famiglie italiane, collegavano la loro origine con i nomi di re Benrengario e Ottone il Grande, e l’unione con i Borgia appariva loro non solo inadeguata, ma anche scandalosa.
La dubbia fama della sposa era ben nota a Mantova dove regnava Isabella d’Este Gonzaga, sorella di Alfonso, che si rifiutava di accettare come cognata la chiacchierata figlia del papa. Tutte le storie dei Borgia: l’accusa di unione incestuosa con il padre e, addirittura, con i fratelli, e la notizia della nascita del misterioso bambino, si trovano nella corrispondenza mantovana. Il Valentino che si insediava prepotente nelle Marche preoccupava gli Este, feudatari della Chiesa, più dell’orgoglio offeso. Forse per mostrare a tutti il valore della figlia, forse perché si fidava solo dei suoi famigliari negli affari di governo, Alessandro VI, partendo per un viaggio per le terre dello Stato, affidò a Lucrezia il governo della Chiesa in sua vece, con la facoltà di provvedere a modo suo. Lo annota Giovanni Burcardo, sotto la data 27-30 luglio 1501. Affidare alle donne di famiglia la reggenza dello stato, grande o piccolo, o del feudo, era prassi abbastanza diffusa fra le famiglie principesche europee. Nella Chiesa non era mai avvenuto e mai più avvenne. Un segno di modernità, certamente di anticonformismo.
Con molta fatica e circospezione i primi contatti con gli Este furono avviati; i promessi sposi si scambiarono i ritratti – sembra che entrambi abbiano apprezzato quello che rappresentavano. Le trattative furono lunghe e faticose, i nodi da sciogliere innumerevoli: dote, precedenze, eredità, gioielli, successione; i due contraenti, il duca Ercole d’ Este e il papa, abilissimi e duri negoziatori. A complicare tutto giunse l’ostilità dell’imperatore Massimiliano, contrarissimo al matrimonio. Un altro ostacolo era rappresentato dal destino del "duchino" il piccolo Rodrigo di Bisceglie che gli Este non parevano disposti ad accogliere a Ferrara. Lucrezia, con il suo innato buon senso, aveva preso parte attiva alle complicate trattative, e decise di lasciare il figlio a Roma, alle cure della sua famiglia. Gli ambasciatori scrissero al duca di Ferrara “la duchessa mi par conosca il fatto suo e non desidera se non soddisfare V. Ex. e il signor suo marito”.
Finalmente una più che fastosa cavalcata si mosse da Ferrara e in pochi giorni raggiunse Roma. Il 30 dicembre del 1501 furono celebrate le nozze per procura alla presenza di cardinali e ambasciatori. Finite le feste, i tornei, le recite, i balli, le cacce, la mattina del 6 gennaio 1502 la sposa partì. Era accompagnata da una folta comitiva nuziale composta di dame, damigelle, cavalieri, famigliari degli Este e dei Borgia, più settantadue muli che trasportavano il corredo. I rapporti tra gli spagnoli, i romani e i ferraresi non furono sempre cordiali. Più di una volta la duchessa fu costretta ad intervenire con il suo garbo per sedare liti e ricomporre la sua corte. Il viaggio durò un mese, intramezzato dalle visite nelle città, dove si fermavano per passare la notte, che accoglievano la figlia del papa con onori e festeggiamenti. Le minacciose trame ordite dal Valentino nella regione consigliavano i più sentiti onori alla amata sorella del duca di Romagna.
Il primo giorno di febbraio Lucrezia fece il suo ingresso a Ferrara accompagnata da Alfonso, che le era andato incontro, e dalla duchessa di Urbino che si era unita a lei per l’ultima parte del viaggio. Fu accolta dalla popolazione, festosa e incuriosita, dal duca Ercole e dalla figlia Isabella sposata con uno degli uomini più affascinanti del suo tempo, il marchese di Mantova Francesco Gonzaga. La marchesana di Mantova era stata definita dai letterati che frequentavano la sua corte, “la prima donna del suo tempo” deteneva il primato in campo intellettuale, artistico e cortigiano. Aveva capito, forse prima di tutti gli altri, che era opportuno, forse necessario rassegnarsi alla sgradita parentela. Ercole era stato informato da ambasciatori non sospetti della condotta garbata e modesta della futura nuora. La “fama onesta” della nuova duchessa sarebbe poi stata riconosciuta dai poeti che frequentavano quella corte, non ultimo da Ludovico Ariosto che la celebrò con i suoi versi. I rapporti tra suocero e nuora furono improntati da un reciproco affettuoso rispetto testimoniato dalle lettere. I primi anni a Ferrara trascorsero spensierati ma anche segnati da gravidanze tristemente concluse con un aborto e dalla tristezza per la lontananza del "duchino", il figlio rimasto a Roma. La morte di papa Alessandro, nel 1503, privò la figlia del supporto protettivo del padre ma la liberò da una figura ingombrante.
Nel 1506 morì il duca Ercole, Alfonso e la moglie divennero duchi di Ferrara. Lucrezia ora aveva un ruolo e una posizione a cui aveva aspirato e che si era finalmente realizzata. Sin dal suo arrivo a Ferrara si era adoperata per crearsi una corte indipendente e si era impegnata a riprendere gli studi e ad ampliare i suoi interessi. Fu il centro di un rinnovamento culturale della corte estense che aveva sempre avuto un ruolo importante nella promozione e diffusione della cultura rinascimentale. A Ferrara tra i poeti i letterati e i musicisti, risiedé per qualche tempo Pietro Bembo. Il principe degli umanisti fu affascinato dalla giovane e bella duchessa con la quale intrecciò una intensa amicizia, intessuta dell’ideale platonico di bellezza e virtù, che divenne, per il poeta una passione amorosa apertamente dichiarata nelle lettere. A Lucrezia Bembo dedicò Gli Asolani, e la principessa ricambiò con il dono di una sua treccia bionda che il poeta custodì in una teca piccola di cristallo, tuttora esistente. Gli interessi della duchessa erano certamente autentici, ma erano anche un non celato indizio della rivalità che in qualche modo la legava alla cognata Isabella, celebrata in tutta Europa per la sua cultura. E forse la stessa rivalità non fu secondaria nella costruzione dell’amicizia con Francesco Gonzaga, alimentata dalle lettere che i due si scambiavano in gran segreto per sfuggire alle spie di Isabella, che sapeva sempre tutto.
Nel 1507 morì Cesare, prigioniero in Spagna dopo aver visto disperdersi tutti i territori conquistati. Lucrezia, nonostante tutto, era sinceramente affezionata a quel fratello che aveva cercato di aiutare in tutti i modi.
Finalmente nel 1508 nacque il sospirato erede a cui seguirono altri figli e dolorosi aborti.
La vita di corte non era solo fatta di intrattenimento conversazione, ma anche di una ricerca spirituale che diveniva con il tempo sempre più intensa. La duchessa prese a trascorrere periodi sempre più lunghi in ritiro spirituale in un monastero femminile. Il più delle volte sceglieva il convento delle clarisse Osservanti del Corpus Domini istituito da Eleonora d’Aragona per le fanciulle nobili. Il monastero era retto da Laura Boiardi, cugina del poeta, una suora di grande cultura e levatura morale. Tra le due donne si instaurò uno stretto rapporto, tanto che in quel monastero Lucrezia indirizzò la figlia Eleonora quando prese i voti. La duchessa fu sempre generosa con i monasteri femminili, interessata alla loro riforma e alle necessità materiali e spirituali delle monache. Fondò il monastero di San Bernardino, al quale destinò molto denaro, che non le riuscì di vedere ultimato. Fu anche particolarmente attenta alla formazione spirituale delle dame di corte, tanto che tre delle sue damigelle scelsero di entrare in convento. La vita devota di Lucrezia era iniziata con la guida spirituale dei predicatori agostiniani: dal 1514 la sua guida spirituale divenne fra Tommaso Caiani, un discepolo di Gerolamo Savonarola del quale rimangono le lettere indirizzate alla duchessa.
A causa dei turbolenti rapporti con il papa Giulio II, che rimproverava ad Alfonso l’adesione allo schieramento favorevole al re di Francia, il duca era rimasto qualche tempo lontano da Ferrara. Durante l’assenza del marito la duchessa aveva retto e governato il ducato con saggezza, in pace. La morte del papa nel 1513 liberò il ducato da una situazione pesante ma a Lucrezia non fu risparmiato un altro dolore, la morte del “duchino” Rodrigo, al quale la madre inviava periodicamente doni, abiti, denari e messaggi colmi di tenerezza: era stato affidato alla affettuose cure di Isabella d’Aragona, già duchessa di Milano, che a Bari teneva una corte di grande reputazione.
Subito dopo la nascita dell’ultima figlia, Isabella Maria, Lucrezia fu assalita dalla febbre; sfinita dalle continue gravidanze, non resisté all’ultima prova. Morì il 24 giugno del 1519, aveva trentanove anni; fu sepolta, come aveva chiesto, nel monastero del Corpus Domini.
Di lei rimangono una immeritata oscura fama, nata dalla "leggenda nera" dei Borgia, e l’immagine radiosa di una delicata fanciulla bionda dipinta dal Pinturicchio su una parete dell’appartamento borgiano.
Ferdinand Gregorovius, Lucrezia Borgia: nach Urkunden und Korrespondenzen ihrer Zeit, Stuttgart 1874; Lucrezia Borgia: secondo documenti e carteggi del tempo, Memphis, General Books 2012
Maria Bellonci, Lucrezia Borgia. La sua vita e i suoi tempi, Milano, Mondatori 1989 (1960)
Gabriella Zarri, La religione di Lucrezia Borgia. Lettere inedite del confessore, Roma, Roma nel Rinascimento 2006
Referenze iconografiche: Lucrezia Borgia, dipinto di Dante Gabriel Rossetti, 1871, conservato al Museo Fogg. Fonte: Harvard Art Museums/Fogg Museum, Bequest of Grenville L. Winthrop. Immagine in pubblico dominio.
Voce pubblicata nel: 2017
Ultimo aggiornamento: 2023