"Poi viene Leonor. Le finestre diventano luce, le ragnatele tende preziose di nuvole e stelle, i rami secchi doppieri accesi, e la sera una grande serata; perché Leonor (come le ho detto mille volte e come non mi stancherò mai di dirle) unisce in sé due grazie: l’infanzia e la maestà." (Nella Torre San Lorenzo)
(Nella Torre San Lorenzo)
Con questa poesia Elsa Morante ci restituisce l’immagine più autentica di Leonor Fini, un’artista, una costumista, una illustratrice, una scrittrice e una performer ante-litteram. Di lei si è detto tutto, Furia Italiana, Angelo Nero, Sacerdotessa Nera e per anni la stampa, italiana soprattutto, ha rivolto l’attenzione più agli aspetti esibizionistici e da rotocalco che non all’artista. Ma è difficile definire Leonor Fini, e lei stessa non amava essere prigioniera di un ruolo, di una aggettivazione. Leonor Fini è essenzialmente finiana nel senso che determina essa stessa i modi del suo essere donna e artista:
"Tutta la mia pittura è un incantesimo in un'autobiografia di affermazione che esprime l'aspetto pulsante dell'essere; la vera questione è trasporre sulla tela il senso del gioco."
La sua è una pittura figurativa nel significante e astratta nel significato: non abbandona mai le figure, ma elabora una propria semantica pittorica che, prendendo forme diverse, mette incessantemente in scena il proprio io. Un personaggio complesso, una donna totalmente e profondamente indipendente che ridefinisce il ruolo delle donne nell’arte e lo fa giocando con i segni, cambiando costantemente pelle.
Fin da bambina è protagonista di eventi rocamboleschi: nasce a Buenos Aires e piccolissima fugge fra le braccia della mamma Malvina Braun dal padre, uomo dispotico e autoritario. Malvina la traveste spesso da maschio per sfuggire ai tentativi di rapimento del padre che vuole ricondurla in Argentina e il mascheramento diverrà poi un suo tratto distintivo.
Viene educata nell’ambiente colto e mitteleuropeo di Trieste, conosce e frequenta Nathan, Bisbà, Dorfles, Saba, Svevo di cui fa un famoso ritratto e nel 1928 esordisce nella Seconda Esposizione del Sindacato Fascista di Belle Arti di Trieste.
Giovanissima si trasferisce prima a Milano dove frequenta il gruppo degli artisti del Novecento, poi a Parigi. Nei primi anni Trenta conosce Dior e diventa buona amica della stilista Elsa Schiapparelli che contendeva a Coco Chanel il primato nella moda. È proprio Schiapparelli a prestarle i prestigiosi abiti con i quali si farà strada negli ambienti colti e raffinati della Parigi del tempo diventando una icona di stile e in cambio Fini disegnerà la famosa bottiglia di profumo Shocking di Schiapparelli.
Inoltre in quegli anni conosce Max Ernst che la introduce nell’ambiente dei Surrealisti, partecipa a varie mostre importanti a Parigi, Londra, Venezia e New York. È qui che la sua pittura arriva alla prima sintesi dalla figura plastica alle atmosfere primitive e immaginifiche. In pochi anni, la natura artistica delle tele assume una qualità sempre più fantastica e irrazionale, la figura femminile al centro, intatta nel suo mistero, nella sua mutabilità, nelle contraddizioni e domina incontrastata dello spazio e del tempo, spesso intenta in attività rituali misteriose e arcaiche.
Ma il gruppo dei Surrealisti le appare presto asfissiante, il ruolo delle donne marginale, André Breton, capo carismatico del gruppo, opprimente. Nel 1940 fugge dall’occupazione tedesca di Parigi e la ritroviamo a Montecarlo. Qui conosce Stanislao Lepri un diplomatico italiano e inizia una relazione sentimentale che durerà fino alla morte di Lepri nel 1980.
Nel 1943 è a Roma e iniziano le importanti amicizie con Anna Magnani, Elsa Morante, Mario Praz, Carlo Levi, Luchino Visconti, ecc… Fini è instancabile, espone in diverse importanti gallerie e incrementa la sua attività di illustratrice.
Nel dopoguerra la ritroviamo in famosi scatti vestita di elaborati abiti animare i balli in maschera. Il passaggio dal mascherarsi al mascherare è naturale e comincia il lavoro come costumista per importanti produzioni teatrali. Per Fini il travestimento non è un vezzo, un’altra stravaganza o un’eccentricità come pensa la critica che ne coglie solo l’aspetto trasgressivo. Il mascheramento è un’arte, un atto di creatività e una rappresentazione del sé su un piano dislocato dallo spazio e dal tempo convenzionale. Nel 1952 incontra l’altro suo amore, Constantin Jelenski, scrittore polacco e comincia un insolito ménage à trois che comprende anche Lepri e che durerà tutta la vita.
In quegli anni ritorna a Parigi e il suo lavoro trova la cifra definitiva e il marchio della sua essenza: la ricerca nel mondo interiore e onirico del significato della femminilità. In atmosfere da sogno o da incubo il femmineo conquista uno spazio proprio enfatizzato. Entrano in scena i miti finiani dai quali non si separerà più: i gatti, le sfingi, femmine-alate, donne-fiore, angeli, streghe, dame medievali e amazzoni e sacerdotesse, fate e diavoli, scheletri, maschi indifesi e guardiane. Un regno surreale che ritroviamo nei romanzi che sono essenzialmente quattro: Histoire de Vibrissa (1973), Mourmour, conte pour enfants velus (1976), L’Oneiropompe (1978) Rogomelec (1979), testi scritti in francese e pubblicati in Francia. Solo nel 2014 appare la traduzione in italiano di Murmur a cura di Corrado Premuda.
Nonostante il grande successo nei mercati internazionali e una certa fama sul web - a questo proposito è interessante ricordare la citazione del dipinto Le Bout du Monde (1949) nel video di Madonna per la canzone Bedtime stories (1994) - Fini non è stata perdonata per il suo anticonformismo, la vita irregolare, le scelte trasgressive ed è ancora vittima della damnatio memoriae voluta e messa in atto dalla critica italiana, in particolare. Rare sono le mostre a lei dedicate nei musei importanti, poco si sa della sua importante e preziosa attività come costumista e del suo lavoro di scrittrice e illustratrice.
Attendiamo una rinnovata attenzione per il personaggio, una lettura più accurata dell’opera pittorica, un’attenta rivalutazione dei suoi scritti, una riconsiderazione del suo lavoro come costumista e illustratrice, in breve il recupero globale dell’opera di una grandissima creativa.
L’Angelo nero di Leonor Fini nel ballo mitico a Palazzo Labia (2019, 27 febbraio). Il Piccolo di Trieste. Recuperato da https://ilpiccolo.gelocal.it/tempo-libero/2019/02/27/news/l-angelo-nero-di-leonor-fini-nel-ballo-mitico-a-palazzo-labia-1.30049988 [Data di consultazione: 20/04/2020]
Masau Dan M., Strukelj V., Leonor Fini. Firenze, Giunti 2014
Natalini, F., Leonor Fini e la torre del surreale. Sinestesieonline. Periodico quadrimestrale, Anno 4, Numero 12, (p.1-22). Avellino 2015
Pellegrini, E. «Vide à l'envers» ovvero il teatro intimo di Leonor Fini, fra pittura, scrittura e documenti d'archivio in Italia-España-Europa. Literaturas Comparadas. Tradiciones y Traducciones. XI Congreso Internacional de la Sociedad Española de Italianistas, Siviglia: Arcibel, 2006, vol. II (p. 252-265). ISBN: 84-689-6642-89.
Vacca, V., L’arte del tra(s)vestire in Leonor Fini. Un percorso nella costumistica scenica tra Roma e Parigi. Tesi di Dottorato, Università della Tuscia, Viterbo. 2015. Recuperato da http://bdr.parisnanterre.fr/theses/internet/2015PA100063_diff.pdf [Data di consultazione: 22/04/2020].
Referenze iconografiche:
Prima immagine: Ritratto di Leonor FIni, 1936. Foto di Carl Van Vechten, Fonte: Library of Congress's Prints and Photographs division
Seconda immagine: Autoritratto con scorpione, di Leonor Fini, 1938. Foto di Gandalf's Gallery. Fonte: Flickr. CC BY NC SA_2.0
Terza immagine: The Blind, olio su tela di Leonor Fini, 1968. Conservato alla Weinstein Gallery, San Francisco. Foto di Gandalf's Gallery. Fonte: Flickr. CC BY NC SA_2.0
Voce pubblicata nel: 2020
Ultimo aggiornamento: 2023