Conoscete senz’altro la storia di Laide, la donna tanto cantata dai poeti e adorata dagli amanti. Essa fece bruciare di desiderio tutta la Grecia, anzi fu contesa da un mare all’altro; ma quando fu toccata dall’amore di Ippoloco il tessalo, allora lasciò l’acropoli di Corinto “bagnata da glauco mare”, abbandonò di nascosto la folla degli altri amanti e il folto stuolo delle cortigiane, e si ritirò con discrezione. Ma quando arrivò in Tessaglia le donne di quel paese, invidiose e gelose della sua bellezza, la condussero in un tempio di Afrodite e la lapidarono a morte; per questo ancor oggi il tempio è intitolato ad Afrodite omicida”
Questo è il racconto che Plutarco, cinque secoli dopo, fa della vita di Laide nell’opuscolo “Sull’amore”. Le fonti greche ci parlano spesso di Laide, ma sotto questo nome si celano, a quanto pare, più figure di etere: probabilmente tre, vissute tra i secoli V e IV a.C. Il nome era diventato tipico della condizione sociale dell’etera e tra l’altro si configura come una specie di nome d’arte, che poteva essere assunto quando una prostituta si elevava di grado sociale ed economico, diventando una cortigiana: cioè un’amante dotata di relativa autonomia nella scelta dei suoi compagni, colta e spiritosa, sensuale e raffinata, esperta di sessualità e di relazioni pubbliche,che si legava ad un uomo (o più) anche per lunghi periodi ed era in grado di contrattare con successo il suo compenso, facendosi mantenere e ricevendo costosi regali che poi restavano a lei (gioielli, case, abiti eleganti, servi e serve eccetera...).
Possiamo però delineare una biografia più concreta e plausibile di una di loro: l’etera Laide, che possiamo identificare come “la seconda” in ordine di tempo, che nacque in Sicilia a Iccara nel 422 . Era figlia di Timandra, anch’essa etera, che accompagnò Alcibiade in Frigia nell’ultima parte della sua vita. Laide era quindi, in un certo senso, una figlia d’arte, che poteva ereditare dalla madre la bellezza fisica e alcune istruzioni erotiche. Era ancora una bambina di sette anni, però, quando la città di Iccara fu conquistata e saccheggiata dal generale ateniese Nicia ed essa divenne schiava, parte del bottino di guerra, sorte comune delle donne greche fatte prigioniere nelle città sconfitte. Insieme alle compagne di sventura fu venduta a Corinto e comprata da un uomo che intendeva farne un dono alla moglie. La sua iniziazione erotica poté essere precoce e forse coatta, come avveniva alle schiave. La ragazza però - non sappiamo come - imparò presto a gestire in relativa autonomia il suo corpo e la sua persona e divenne bellissima e affascinante, capace di conversazione spiritosa e brillante. Iniziò così una spettacolare ascesa sociale, diventò famosa e ambìta. Una frase greca spesso citata, attribuita falsamente a Demostene, afferma che gli uomini greci avevano a disposizione vari tipi di donne: le mogli, per la procreazione di figli legittimi e per la direzione e la custodia della casa e del patrimonio familiare; le concubine per la “cura del corpo”; e le etere per il piacere della sessualità raffinata, della conversazione e della compagnia. All’ultimo gradino stavano le prostitute di basso livello e le schiave; tra un tipo e l’altro di donna erano possibili, nel corso delle singole vite, scambi e passaggi intermedi, ma i ruoli restavano distinti. Certo questa ripartizione delle donne, anche quando restava uno schema simbolico in parte contraddetto dalla complessità della vita reale, era molto funzionale alla sessualità e al potere dei maschi dominanti. Le etere erano, tranne poche eccezioni, le sole figure femminili delle città della Grecia antica che godessero di una forte visibilità sociale e storica. Un caso a parte è quello di Aspasia di Mileto, la compagna di Pericle, che era eccezionalmente colta, amata da lui, autorevole consigliera per intellettuali e politici. Convisse stabilmente con lo statista ateniese ed ebbe da lui un figlio che ottenne la cittadinanza ateniese (poi Pericle il giovane fu tragicamente condannato a morte, ma questa è un’altra storia, frutto della crisi della democrazia).
La vita delle etere era brillante finché esse potevano contare sulla bellezza fisica e sul dominio del proprio corpo. Alcune di loro continuarono ad avere un “protettore”, ma intrattenevano relazioni con personaggi di propria scelta, partecipavano ai banchetti, ai simposi, agli spettacoli e alle gite, sapevano conversare con prontezza di spirito anche con politici illustri, atleti, artisti, filosofi e intellettuali. Molti aneddoti riportano battute vivaci scambiate da loro con Socrate, Euripide, Aristippo, Diogene il cinico eccetera. Erano le sole che potessero fare da modelle a pittori e scultori, e spesso ne diventavano le amanti. Ma avevano dovuto farsi strada da sole, magari partendo da condizioni di asservimento e di violenza e potevano incontrare un destino triste quando invecchiavano e non avevano più appeal. Abbiamo aneddoti su una “Laide” (non la nostra) che trascorse tristemente l’ultima parte della vita nella solitudine e nell’alcolismo. Se decidevano di sposarsi, e riuscivano a farlo, cambiavano nome e vita. Una vicenda abbastanza simile riguarda la nostra Laide, la seconda, che a un certo punto della sua brillante carriera incontrò una relazione d’amore duraturo e profondo (il suo compagno viene chiamato nelle fonti Ippoloco o Ippostrato) e allora lasciò la vita da etera e stabilì con lui una convivenza discreta e appartata, in Tessaglia. Non lo sposò: altrimenti lo sapremmo. Ma scelse una convivenza stabile, per autentico amore o perché stanca di una vita troppo dispersiva. Nel racconto di Plutarco, la sua morte fu poi dovuta alla gelosia e all’invidia delle mogli tessale, che la coinvolsero in un rito particolare riservato alle sole donne presso il tempio di Afrodite e lì la uccisero, colpendola con degli ex voto. Chissà se questa notizia corrisponde a verità: il racconto plutarcheo a questo punto sembra virare sul mitologico. Pare certo però che Laide sia morta piuttosto giovane. La sua tomba veniva mostrata e visitata nella valle del fiume Peneo. A Corinto si conosceva anche la tomba di un’altra Laide, ammirata e stimata come una sorta di gloria cittadina.
Delle etere greche più famose (Teodote, Laide 1-2-3 , Neera, Frine, Taide, Pitionice, Glicera, Lamia) conosciamo il momento giovanile del successo e dello splendore, ma anche gli aneddoti antichi ci parlano a volte di infanzie difficili, esposte allo sfruttamento e alla violenza; e di conclusioni tristi delle loro esistenze. Molto più oscura e penosa era la vita delle prostitute di basso livello e delle moltissime schiave che non riuscivano ad emanciparsi. Poche riuscirono a superare le barriere di ruolo che distinguevano, nel mondo greco: la donna perbene, moglie e madre; la colta e disinvolta professionista del sesso; la concubina al servizio della cura del corpo dell’uomo; e ai livelli più bassi la prostituta sfruttata, svilita e disprezzata, e la schiava , frutto di una cultura permanente della guerra e dell’appropriazione del corpo della donna. Il tutto all’ombra del dominio maschile. Ruoli distinti e a volte fluidi, ma era molto difficile per una donna greca pensarsi – ed essere pensata- al di fuori di essi. Modelli dicotomici (e possibilità alternative del femminile) che hanno segnato a fondo la cultura occidentale.
Plutarco, Sull’amore, 767-768 (Adelphi 1986, a cura di Dario del Corno. Traduzione e note di Vittoria Longoni)
Numerose altre fonti greche sono citate in questi saggi di riferimento:
Claude Calame, L’amore in Grecia, Laterza 1985
"Il mondo delle cortigiane e delle prostitute", di Hans Herter, in Le donne in Grecia, a cura di Giampiera Arrigoni, Laterza 2008
Annalisa Paradiso, “Schiave, etere e prostitute nella Grecia antica_ La vicenda emblematica di Laide” Storia delle donne, 5 _ Copyright 2009, Firenze University Press
Voce pubblicata nel: 2018
Ultimo aggiornamento: 2018