Elisabetta Piccini, o meglio suor Isabella Piccini, è una delle rare e assai poco conosciute donne incisore.
Nasce nel 1644 a Venezia da una famiglia di incisori veneziani. Suo padre Jacopo Piccini (attivo fino al 1669) e suo zio Guglielmo riproducono su rame i quadri di Tiziano e di Rubens, ma lavorano anche come illustratori per tipografi ed editori.
Dunque sin da piccola Elisabetta vede lastre di rame e bulini, inchiostri e libri illustrati. Il padre la educa alla pratica del disegno e del bulino, che richiede una certa forza. Elisabetta impara ad incidere in maniera profonda la lastra, cosa che consente ai tipografi di “tirare” un numero significativo di stampe; per questo motivo, e per il compenso davvero modesto, le sue incisioni sono molto richieste.
E’ un’adolescente quando il padre viene a mancare. Ma ha un “mestiere”, tanto che il 20 novembre 1663, a soli 19 anni, è già imprenditrice di sé stessa: Elisabetta presenta al Doge la domanda per l’autorizzazione in esclusiva alla stampa di alcuni soggetti da lei incisi dopo la morte del padre ed il Senato le accorda tale Privilegio.
Ma per una fanciulla, seppur forte della sua competenza ma certamente non abbiente, la scelta del convento è più o meno obbligata. Così nel 1666, poco più che ventenne, entra nel convento francescano di Santa Croce in Venezia e cambia il suo nome in suor Isabella.
Entrare in convento significa per Isabella poter esercitare la sua arte in tutta tranquillità e in un ambiente, per così dire, protetto. La sua attività, che l’accompagnerà per tutta la vita, è intensa, feconda, vitale: suor Isabella fornisce opere ai più conosciuti editori veneziani. Riesce a stento a far fronte alle commissioni dei tipografi liturgici e dei librai – per citarne qualcuno: a Venezia Bartoli, a Padova la Tipografia del Seminario, a Brescia Gromi e a Bassano i Remondini, con i quali avrà una relazione d’affari di oltre quarant’anni ed un intenso epistolario.
Sono talmente tante le richieste che riceve, che «potea darne dugento annui ducati al monastero per andarne esente da ogni officio» (Moschini 1924, p. 50). Con il ricavato di incisore, dunque, Isabella, contribuisce al mantenimento del monastero, tanto da poter essere esentata dalle consuete incombenze che sarebbero spettate ad una suora. Aiuta anche sua sorella Francesca con una dote di 300 ducati e ne sostiene le spese per la vestizione, perché anche Franceschina, nel 1673, entra nello stesso convento e prende i voti, che però scioglierà undici anni dopo per sposarsi. Quando, a seguito di una malattia, Franceschina muore, nel 1709, nomina Isabella erede di tutti i suoi beni.
Suor Isabella ha 74 anni quando viene nominata Vicaria del Convento; lo è per 6 anni, dal 1718 al 1724 ma non apprezza la responsabilità, come scrive in una lettera a uno dei Remondini «…la Vicaria in sino sto Ottobre e poi viva Gesù … sei anni che sono in catena co tanti pesi addosso. Presto sarò libera.» E ancora «…Sono molto contenta a essere fuori dè 6: anni de vicariato Le me uolleua tornar a far, ma io, li, hò, detto sul sodo che gellassero il confesso, cioè li dusento ducati al lano nò li darò più, che si spente tanto nel uicariado e spicera è morta tutto in anni sei, che no so come sono stata salda, con tutti sti pensieri e spiese. Solo M.V. mi ha assistito. Quindo che, le à sentito che lasserò la il confessor; Le, a, messo le piue spiese in saco, è de più le me uolleua far Badessa…»
Ma cosa incide suor Isabella? La sua produzione è legata soprattutto alla illustrazione di testi sacri, messali, libri di preghiere, breviari, biografie di Santi, ma anche ritratti, stampe divulgative di genere profano, soggetti allegorici ed illustrazioni di manuali. I suoi lavori sono apprezzati dagli editori e molto richiesti dal pubblico, che ama quelle rappresentazioni religiose dal sapore semplice e sincero.
E come lavora? i Remondini, ormai diventati i suoi editori preferiti, le forniscono le lastre di rame e a volte anche il disegno da riprodurre, Isabella manda la lastra dal calderer (o l’uomo del rame) il quale la prepara e dopo qualche giorno è di nuovo da Isabella per essere incisa a bulino.
In circa sessantotto anni, questo il tempo passato in convento, senza una allieva o un aiuto, suor Isabella realizza da sola tutte le sue incisioni; in una delle tante lettere scritte ai Remondini si legge «…Vostra sig.ria si assicuri che non alleva niuna, ò insegnato a q. creature, e tutte quando che ano studiato si stuffa e no volle star chiuse, come sono stata io…».
Da questo ricco epistolario con i Remondini, divenuti nel tempo anche suoi confidenti e amici, conosciamo la suor Isabella imprenditrice: a 76 anni sa vendere e gestire le proprie opere anche quando pervengono contemporaneamente da editori diversi; si fa rispettare soprattutto quando non sono puntuali nei pagamenti.
Ma la fatica, con l’età e la salute precaria, si fa sentire e Isabella contesta lastre di rame troppo grandi «...sotto il torcollo che sempre, i, me sé adosso (…) quanto poi à il Santo che lei mi mandò, è molto grade, è stento a lauorar rami cusì gradi».
Suor Isabella muore in povertà la sera del 29 aprile 1734, a 90 anni.
Referenze iconografiche: Memorie Bresciane di Ottavio Rossi in un’incisione a bulino di Suor Isabella Piccini.Fonte: Le memorie bresciane: opera historica e simbolica by Rossi, Ottavio, Brescia, 1693. Disegnatore: Lazari - Incisore: Suor Isabella Piccini. Immagine in pubblico dominio.
Voce pubblicata nel: 2012
Ultimo aggiornamento: 2023