Eleonora Fiorani saggista e docente si è laureata in filosofia e storia alla Statale di Milano con Ludovico Geymonat e ha ampliato poi i suoi studi alle scienze sociali e umane, all’antropologia, alla sociologia, alla geografia, all’etnobotanica e all’etnozoologia e poi alle arti visive e progettuali.
“Sono nata a Milano da una famiglia operaia, nel 1942; a Porto di mare al confine della città nel quartiere Corvetto e dove nel dopoguerra si balneava e pescava attorniati dalla vegetazione dell’intorno, prima che si decidesse, negli anni Sessanta, di interrarlo con una discarica di rifiuti e di coprirlo di terra per farne un parco, non lasciando traccia se non nel nome della sua storia e della vita che lo aveva animato. È infatti lì che ho imparato a nuotare e ho vissuto poi a San Siro nelle case popolari, allora appena costruite fino alla fine degli studi universitari e poi per trent’anni ho abitato nel centro storico delle cinque vie della Milano romana e medioevale fino all’attuale residenza degli ultimi vent’anni in zona Loreto”. 1
È sempre un raccontare il dire degli inizi. “Nella mia storia forse gli inizi sono sepolti nella fascinazione per l’arte novecentesca nata già sui libri di scuola.” A Brera infatti frequenta come luogo di studio la biblioteca, mentre studia filosofia alla Statale. Erano gli anni Sessanta, e Brera in quegli anni era uno dei centri di ritrovo e irradiazione delle avanguardie di secondo Novecento e contemporaneamente, con i suoi bar, - il Giamaica il più noto -, e nelle vie intorno, uno dei centri dell’Avanguardia politica dei più diversi schieramenti compresi i situazionisti.
“Avanguardia artistica e avanguardia politica sono stati insieme alla filosofia i miei riferimenti, parte del mio tessuto di vita, delle cose che mi facevano sentire viva, una sorta di passione allora chiusa nel privato e nel personale, qualcosa di cui avevo bisogno e che mi rendeva felice”.
È allora che incontra non solo l’arte novecentesca, ma l’arte preistorica dal vivo, in Val Camonica, dove Anati aveva “scoperto” l’arte dei Camuni, e affrontato per primo un’analisi scientifica dei graffiti che portò alla fondazione in quella zona del grande Centro Mondiale della Preistoria, oggi riconosciuto come patrimonio dell’umanità. Fiorani lo ricorda in calzoncini corti ricalcare su grandi fogli i graffiti delle rocce. Si apre nella ricerca di Eleonora un nuovo filone di di pensiero volto alla trama vegetale e animale della storia umana, relativa a un sistema più ampio, a sondare i processi di territorializzazione, dei modi in cui “l’umano” ha trasformato lo spazio in territorio nominandolo, simbolizzandolo e reificandolo, così che noi siamo tutt’uno con esso ed esso sono noi.
“Questo ha comportato interrogare la memoria del passato remoto dell’umanità, il tempo che viene prima della storia, studiare e capire le tracce di questa antichità remota sotto le apparenze dell’uomo attuale, tracce che ancora ci costituiscono”.
Fiorani passa così sul terreno di quelle che i francesi chiamano “scienze molli”, ossia quelle discipline che non utilizzano categorie rigorose di pensiero, ma categorie più fluide, mutuate spesso da altri ambiti. E ha approfondito la botanica, la zoologia, l’etnologia e ha portato in Italia le discipline che qui non ancora non esistevano dell’etnobotanica e dell’etnozoologia.
L’incontro con Francesco Leonetti, l’amicizia con Arnaldo Pomodoro e la frequentazione della sua casa di campagna, la mitica Mangiagruppa, ha contemporaneamente reso il mondo delle avanguardie di secondo Novecento il suo tessuto di riferimento affettivo e personale.
Sono due amici carissimi Enzo Mari, un maestro assoluto del design e artista lui stesso, partecipe dell’arte programmata e cinetica, e Dadamaino, che per primi le chiedono un intervento critico sul loro lavoro, gettandola nello sconcerto e nel panico. Enzo Mari le propone di recensire, per il «Sole24 Ore» e «Alfabeta» una sua mostra molto particolare Modelli del reale (San Marino, 1988). Egli avvertiva la gravità della fine di una stagione eroica pur con tutti i suoi errori e sbavature e atrocità, perché quello che stava avvenendo era senza speranze e toccava direttamente la progettazione, che si trattasse di una sedia o della città futura. È un discorso che Mari, tra i pochi, ha continuato a fare.
Dadamaino invece stava allora lavorando al suo grande ciclo del Movimento delle cose, dopo i tagli e i buchi, gli oggetti cinetici, e i suoi alfabeti e foglietti sui fatti della vita, e la richiesta di un intervento critico da parte di Fiorani riguardava il suo cercare senso riflettendo sulle lacerazioni e le ferite e la perdita delle certezze e di tutto ciò in cui avevamo creduto. Ne è nata una straordinaria amicizia, in un rapporto che l’ha accompagnata fino alla sua morte. Con Elena Pontiggia Fiorani presenta la mostra complessiva su Dadamaino alla casa del Mantegna di Mantova nel 1993.
Ha inizio così un’attività di intervento critico fattasi nel tempo più fitta e che fa parte di quei vissuti da “tribù dell’arte” come li ha definiti Bonito Oliva. Sono stati questi gruppi - dopo l’esaurirsi del movimento che va dal 68 al 77 -, a tenere aperti ricerca, confronto e avanguardia, attraverso «Alfabeta», una rivista di cultura radicalmente nuova in tutti i sensi, e «Milanopoesia», e anche «La Gola», il primo e unico mensile di cultura materiale.
Di questo periodo intricato sono stati organizzatori straordinari Gianni Sassi, e anche Gino Di Maggio con la sua fondazione Mudima sede milanese di Fluxus, e di altre manifestazioni delle avanguardie. Qui dada e non solo dada ha continuato a vivere e a rinnovarsi. E mentre partecipava a tutto ciò con la sua ricerca, Fiorani insegnava in Conservatorio Filosofia e storia al liceo musicale e viveva a contatto con la musica e nella musica, e in seguito negli Istituti di design, il che l’ha portata a inoltrarsi nelle dinamiche del progetto e della comunicazione.
“La musica e il design mi hanno portato ad aprire nuovi territori di ricerca. Nella musica dove ho cominciato a occuparmi di estetica musicale e ho partecipato a convegni organizzati dal Conservatorio su Mozart, su Gerschwin, su Satie e i Sei e a seminari di studio a Venezia sulla musica e il teatro giapponese. A sua volta il design è diventato di lì a poco il mio mondo di riferimento e il nodo cruciale per mettere insieme i pezzi delle vite che stavo vivendo e a darmi le chiavi di lettura della società contemporanea”.
Fiorani arriva allora a concepire uno scambio linguistico fra le discipline tradizionali e a coniugare teoria e pratica in un ambito tutto suo in cui teorico ed estetico, il linguaggio della ragione e quello del cuore potevano declinarsi insieme.
“Ė così che ho capito che la filosofia poteva diventare testo teatrale e la saggistica poteva parlare il linguaggio del cuore e dei sensi e non solo della ragione, che si capisce e si pensa con il corpo e non solo con la mente, e ho cominciato a poco a poco a poco a far diventare la filosofia vita”.
Entra così, consapevolmente, nel lavoro dei singoli artisti e organizza mostre di pochi giorni alla fondazione Mudima; arte, poesia, teatro, musica, si intrecciano come già nell'attività inaugurata da Francesco Leonetti con i suoi “Autori in scena” e mostre e letture di poesia. È allestendo una mostra che si comincia a capire che cosa significa sensibilizzare uno spazio e il modo in cui l’opera costruisce lo spazio e lo spazio l’opera. È un’esperienza straordinaria che fa entrare nel cuore delle cose e ti insegna a guardarle e viverle con altri occhi.
Questa attività di intervento critico ha accompagnato la sua ricerca saggistica diventando un elemento importante anche se laterale di sondaggio e di lettura dei cambiamenti in corso perché interessa la dimensione esistenziale insieme al mutamento delle grammatiche, iconiche, sonore, materiali, tecnologiche, che hanno mutato l’arte stessa e la figura dell’artista.
“È qui in riferimento all’arte che ho cominciato a intravvedere e a esaminare la fine del moderno e a mettere in atto ricognizioni che cercavano nel presente il ritorno dell’archetipo del giardino dell’eden nell’arte nel giardino. L’estetizzazione può far più bello il mondo o i suoi oggetti e ambienti, ma non è capace come l’arte di vedere e far vedere con altri occhi: l’andare oltre, è ciò che caratterizza l’invenzione artistica e scientifica. Ė di questa invenzione che oggi è povero il mondo".
"Ė stato Freud a parlare non solo della dimensione ludica e del valore anticipante e veggente dell’arte ma della sua valenza sociale e della gratitudine che dobbiamo all’artista per il godimento o piacere che la visione o lettura o ascolto dell’opera produce come liberazione delle pulsioni. Ė nelle ritornanze, nella pluralità degli sguardi, nel chiudere gli occhi per vedere e ridare all’immagine la sua capacità veggente, nel porsi in ascolto di tutto ciò che nel mondo esiste dalla musica, nell’idea che sia possibile tornare a cantare il tempo e l’essere ritrovando se stessi".
Alle mostre organizzate al Mudima e in quelle nelle gallerie d’arte vanno aggiunte quelle promosse in Triennale. Ha fatto infatti parte del comitato scientifico della Triennale per il settore moda per la quale ha promosso la mostra Textile vivant (2015), Nuovo vocabolario della moda italiana (2015_6), Subumano, inumano superumano di Rick Owens (2017-18) e curato per il Palinsesto del Novecento il progetto e il ciclo di mostre Fantasmi del Novecento, (Fantasmi del Novecento una mostra diffusa a cura di Maria Fratelli, Eleonora Fiorani, Mariella Brenna, Guidemoizzi, 2020).
Voce pubblicata nel: 2020
Ultimo aggiornamento: 2023