Tra l’inizio del 2010 e il 30 novembre del 2015, una signora minuta in pantaloni neri e giacche colorate vola da un paese all’altro per partecipare a conferenze ministeriali, vertici internazionali, convegni accademici, assemblee di studenti o riunioni di volontari di organizzazioni ambientalista. Incoraggia, elogia, ammira perfino l’astuzia con la quale certi politici ostacolano ogni proposta per ridurre le emissioni di gas serra e frenare il riscaldamento globale, e ringrazia sempre dell’accoglienza. Segretaria generale della Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici 1 per due mandati successivi, dal 2010 ha “il futuro del pianeta nelle sue mani” o “sulle spalle” (come titolano i media).
Nel 2009, il vertice di Copenaghen avrebbe dovuto migliorare e rinnovare l’inefficace Protocollo di Kyoto, invece le trattative erano finite in rissa. I paesi poveri le cui scarse o inesistenti attività industriali non avevano contribuito alla concentrazione di anidride carbonica e gas equivalenti in atmosfera, ne avrebbero pagato per primi le conseguenze. Chiedevano più equità, ovvero, in parole povere, finanziamenti. Unione Europea a parte, i paesi ricchi e i maggiori produttori di carbone o petrolio chiedevano pari sforzi da parte delle economie emergenti prima di fare alcunché che potesse rallentare la propria crescita (la crisi finanziaria iniziata a fine 2007 si faceva sentire) e siluravano ogni tentativo di compromesso su regole comuni, insieme a quelli che non avevano firmato il Protocollo di Kyoto come USA e Cina, o l’avevano appena abbandonato come il Canada. Un disastro.
Il segretario dell’ONU chiama a incollare i cocci Christiana Figueres, che partecipa ai negoziati sul clima dal 1995. Figlia e sorella di presidenti del Costa Rica, di una madre eletta ripetutamente al congresso, a volte anche lei membro del governo, viene da un paese minuscolo che nessuno può accusare di bullismo. Suo padre ha fondato nel 1948 una democrazia che dura tuttora, dopo aver sconfitto da leader rivoluzionario un esercito che ha poi trasformato in corpo di difesa dell’ambiente, e dopo aver fatto adottare leggi che ne fanno il paese meno corrotto e meno iniquo dell’America Latina.
Per formazione lei è un’osservatrice attenta, e rispettosa, delle differenze culturali, sociali e politiche. Si è laureata in antropologia alla London School of Economics con una tesi sui Bribrì, un’etnia isolata in un angolo di foresta costaricana, che chiama “gna” (= cacca) i non Bribrì e, com’è facile intuire, li evita. Eppure l’ha accettata e la invita ancora a venire a discutere di qualche problema e a festeggiare.
Cinque anni fa, si trova davanti uno schieramento di politici, industriali e media conservatori cheripete la propaganda finanziata da multinazionali del carbone e del petrolio. Secondo questi "mercanti del dubbio” retribuiti per mentire al Congresso statunitense e perfino nei tribunali, l’effetto serra dei gas serra è una truffa, un complotto iniziato due secoli fa al quale partecipano tutte le istituzioni scientifiche del mondo allo scopo di distruggere il capitalismo e imporre la dittatura planetaria dell’Onu.
Sono mercanti innanzitutto anglofoni, quindi non chiamano gli estranei “gna” ma “watermelon”: angurie verdi fuori e rosso comunista dentro. Dalla pubblicazione dell’enciclica Laudato sii, l’anguria più famosa non è più Naomi Klein, ma il Papa Francesco I.
A Christiana Figueres tocca convincere i paesi firmatari dell’UNFCC che la crisi climatica aggrava tutte le altre: fame, povertà, epidemie, guerre civili, degrado idro-geologico, inquinamento dell’aria e delle acque. Che i danni aumenteranno nel tempo perché l’anidride carbonica resta a scaldare l’aria per millenni, la parte assorbita dagli oceani li rende più acidi, il livello del mare s’innalza insieme alla temperatura e alla fusione dei ghiacciai, più caldo significa più energia nella biosfera, così aumentano anche la frequenza e l’intensità di tempeste, alluvioni, siccità. Ce ne accorgiamo dall’inizio del secolo, non è niente rispetto a quello che succederà alle prossime generazioni. Ma i politici sono eletti a scadenze ravvicinate, prendono decisioni a breve, il lungo termine si arrangi: i bambini non votano, le generazioni future ancora meno.
Però i bambini esistono, e hanno pure genitori come “Ms Figueres” (si firma così quando scrive a qualcuno per la prima volta) che non intende consegnare alle due figlie un pianeta ostile e che non si lascia intimorire dai capi di tribù ricche e potenti. Cerca anime gemelle, e mentre intesse alleanze spesso spiazza gli antagonisti – inclusi i movimenti ambientalisti delusi dall’inefficienza dell’ONU – con una battuta o un sorriso presto messo su twitter dove dà un’impressione di spontaneità e di franchezza, il tutto in sei o sette lingue.
Il vertice di Cancún nel 2010 rivela la sua strategia, e un uso accorto dei media: i protagonisti dell’inaugurazione sono liceali venuti da tutto il mondo – invitati dall’Onu – per chiedere ai delegati di trovare un accordo invece di rimandarlo a quando sarà troppo tardi. Christiana Figueres è assecondata dalla rappresentante della “virtuosa” Unione Europea, Connie Hedegaard che fa la voce grossa, e dalla presidente della 16ma Conferenza delle Parti (COP16) firmatarie della convenzione su clima del vertice, la ministra messicana Patricia Espinosa, portavoce per i paesi poveri.
Con qualche intoppo, l’idea che sia necessario agire presto e di concerto guadagna consensi. Anche perché i governi sono liberi di non agire e di restare esclusi dal passaggio a fonti di energia “pulita”. La svolta, dicono gli economisti quasi unanimi per una volta, richiede grossi investimenti che però si ripagano con risparmi energetici, un ambiente più sano e quindi una mano d’opera più produttiva. Ai paesi poveri servirebbero $100 miliardi da qui al 2020 per accedere ad energie pulite. Sono noccioline rispetto ai $5,3 mila miliardi di sovvenzioni pubbliche versate nel 2015 per incentivare la produzione e il consumo di carburanti fossili.
Nel 2014 i governi sono invitati a mandare al segretariato dell’UNFCC, entro ottobre 2015, l’elenco dei provvedimenti che prenderanno entro il 2025-2030 per limitare il riscaldamento globale a 2 °C. A metà 2015 parte una sorta di gara, le risposte arrivano a ritmo accelerato, accolte da un applauso di Christiana Figueres su twitter. A Parigi, la COP21 è già iniziata quando l’India, il più grande e inquinante dei ritardatari, smette di tergiversare, e viene ringraziata con lo stesso calore del minuscolo stato di St Kitt e Nevis, l’ultimo ad arrivare fuori tempo massimo.
Il 12 dicembre 2015 a mezzogiorno, i delegati di 195 nazioni approvano un accordo. Ancora vago, ottimista sui miracoli di tecnologie di là da venire, privo di sanzioni per chi non rispetta gli impegni che, così come sono, porterebbero a un aumento della temperatura globale tra 2,7 e 3,5 °C. Ma è perfettibile di anno in anno e procede per accordi quinquennali.
Ms Figueres non ha più il futuro del mondo tra le sue sole mani e sulle sue sole spalle. La sera dell’accordo in una discoteca di Parigi, guida una folla di ragazzi e ragazze in una conga interminabile.
Elizabeth Kolbert, “The Weight of the World”, The New Yorker, 24 agosto 2015, un saggio biografico dell’autrice di La sesta estinzione
Jeff Tollefson, “Christiana Figueres: climate guardian”, Nature, 17 dicembre 2015
Janosh Delker, “The Climate Revolutionary”, Politico, 11 ottobre 2015
Per un aggiornamento sullo stato attuale del riscaldamento globale: https://www.tomorrow.io/weather/blog/global-warming-status/
Referenze iconografiche: Christiana Figueres, sul palco Center Stage durante l'evento Collision 2018 at Ernest N. Morial Convention Center a New Orleans. Photo di Stephen McCarthy/Collision via Sportsfile. Fonte: Flickr. Creative Commons Attribution 2.0 Generic license.
Voce pubblicata nel: 2016
Ultimo aggiornamento: 2023