La vita di questa grande scrittrice e cineasta algerina non è scindibile dai destini del suo tormentato paese. Nata a Cherchell, antica città romana sulla costa a ovest di Algeri, la piccola Assia ha la fortuna di poter frequentare la scuola francese, quel territorio culturale e linguistico del colonizzatore, dell’Altro per definizione. L’Algeria, a partire dal 1830 con battaglie sanguinose e cruenti è diventata colonia francese, dove l’insegnamento dell’arabo è vietato e dove la scuola, salvo rare eccezioni, è privilegio dei coloni europei. Assia discende da una famiglia al crocevia di una molteplicità di culture, lingue e tradizioni: il padre, di estrazione sociale modesta, fa parte di quella cultura araba riformista e nazionalista, che nella prima metà del Novecento ispira un ampio movimento. Maestro di scuola elementare coloniale, il padre porta per mano la figlia nel regno della lingua scritta, nell’universo letterario e filosofico del nemico; la madre invece, discendente fiera di una famiglia aristocratica e marabutica berbera, trasmette alla figlia un vasto e ricco patrimonio delle tradizioni, legato alla trasmissione orale, per via genealogica femminile. E Assia, già da piccola, è ben consapevole del privilegio di cui gode rispetto alle ragazze della sua età, chiuse in casa e velate a partire dalla pubertà.
Le emozioni, i sentimenti e i pensieri, tutte le contraddizioni che la frequentazione della cultura francese suscitano nella bambina algerina, prefigurano i tratti che segneranno più tardi l’opera narrativa e visiva della scrittrice. Dopo la scuola elementare e gli anni del collegio in Algeria, Assia frequenta il liceo Fénélon a Parigi e sarà la prima donna algerina ammessa all’École Normale Supérieure a Sèvres.
Ma le vicende del suo paese interrompono un percorso che sembrava prefigurarsi lineare: la guerra di liberazione degli algerini contro il regime coloniale francese inizia nel 1954. Assia partecipa allo sciopero generale degli studenti algerini nel 1956; a solo vent’anni pubblica il suo primo romanzo La Soif, e abbandona la Scuola prestigiosa per seguire il fidanzato, militante dell’FLN, nella clandestinità. Approdano prima a Tunisi, poi a Rabat dove Assia diventa assistente di storia all’università. Una vocazione, la Storia, che nutre gran parte dell’opera letteraria della scrittrice e che diventa per lungo tempo una professione: dopo l’Indipendenza dell’Algeria, Assia Djebar ricopre la cattedra di Storia moderna e contemporanea dell’Africa del Nord all’università di Algeri.
Nei decenni successivi Assia, che si definisce “femme en marche”, donna nomade, vive in parte in Algeria, in parte in Francia. Amante della molteplicità delle culture e delle lingue, scrittrice, donna di teatro e di cinema, storica con interessi di carattere sociologico e antropologico, presto avverte come limitanti e soffocanti le tendenze politiche nel suo paese: un socialismo di stato che apre a forme di islamismo intransigente e retrogrado, in nome di una cultura contadina che non c’è più, in nome di una presunta tradizione islamica integralista che nel Maghreb non c’è mai stata. Disincantata nei confronti della politica, diffida profondamente di un regime all’insegna dell’unicità: partito unico, religione unica, lingua unica. Tutto ciò in un paese caratterizzato anticamente dalla convivenza di molte culture e molte lingue. La pluralità, per la scrittrice, è garanzia di libertà.
Dagli anni Sessanta fino ai primi anni Novanta, fino all’inizio della guerra civile in Algeria, Assia Djebar vive e lavora a periodi alterni fra Algeri e Parigi. Ma ben prima dell’esplosione della violenza vera e propria avverte un crescente disagio di fronte alla strisciante mascolinizzazione dello spazio pubblico nel suo paese. Negli anni Ottanta si separa dal primo marito e sposa il poeta Malek Alloula. In questo periodo Assia pubblica racconti, romanzi e poesie, tradotti in molte lingue. Ma prima di scoprirsi, innanzitutto, scrittrice, fa l’esperienza del cinema. Un’esperienza che segnerà in modo decisivo il suo stile di scrittura, e le servirà a scoprire l’universo delle donne. Il suo lungometraggio La nouba des femmes du Mont Chenoua, una fiction prodotta per la televisione algerina, ottiene nel 1979 il Premio della critica internazionale alla Biennale del Cinema di Venezia. In preparazione del film Assia ha svolto una ricerca con e sulle donne contadine della sua regione raccogliendo le loro memorie degli anni della guerra di liberazione. Questo ascolto delle ferite, dei dolori e dei linguaggi – delle parole come dei silenzi – di queste donne segnerà profondamente l’opera successiva della scrittrice. Quello stile così caratteristico e originale dei romanzi di Assia che muove dalla Storia per attraversare la biografia, che intreccia l’Io individuale della narratrice al Noi collettivo delle donne del suo paese – tacitate come soggetti, ma presenti nella Storia – per poi ritornare a frammenti romanzati di eventi storici.
In questo contesto la narrazione dell’esperienza del corpo e delle relazioni amorose riveste un ruolo di primo piano. Come narrare l’amore in bilico tra i tabù della lingua materna e l’impossibilità di nominarlo nella lingua dell’Altro? Il percorso autobiografico, da donna araba, verso la conquista di un “Io” narrante non può che passare attraverso una assunzione di un “Noi” che si fa carico del silenzio di tutte le sorelle imprigionate dietro le mura delle case e degli harem. Il femminismo di Assia Djebar è difficilmente classificabile e si sottrae a definizioni militanti o ideologiche. È piuttosto un impegno a distanza che mai confonde la solidarietà, la sorellanza, con l’identità. Un femminismo che non cade nella trappola dell’ergersi a portavoce delle altre; tutt’al più scrive per coloro che sono escluse dalla scrittura. La sua poesia tende a tradurre i silenzi e il mormorio delle sorelle; la sua scrittura esprime la vicinanza alle altre donne, ma mai si esprime al loro posto.
Per quanto profondamente legata alle vicende dell’Algeria, Assia tuttavia non si considera una scrittrice militante. Con l’eccezione solo di una delle sue opere: Lontano da Medina. Per controbattere agli integralisti che stanno dando un’immagine caricaturale delle origini dell’Islam, Assia scrive per smascherare le manovre di potere in nome della religione. Agli inizi dell’Islam, come oggi. Allora, come oggi, contro le donne.
Assia Djebar scrittrice significa questo: riconoscerle un suo stile che è ancorato ad un andirivieni tra lingue e culture, tra passato e presente. Dalla scrittura al linguaggio dei film e dei suoni e, di nuovo, ancora alla scrittura. L’esperienza del cinema enfatizza la scoperta del non-detto nella storia ufficiale e la necessità di far parlare questi silenzi. Rapportare il dimenticato, il rimosso. Dire il silenzio, fornire le immagini del mancante, per invertire e decostruire lo sguardo coloniale su di sé. Per rompere l’alienazione coloniale. In tal senso nella sua opera si manifesta un pensiero postcoloniale che si propone di riflettere il non visibile, ciò che è coperto sia nei discorsi tradizionali che in quelli coloniali, ciò che è tacitato sia nelle dichiarazioni che negli sguardi.
Di questa originalità la critica, sul piano internazionale, ha tenuto conto, attribuendo alla scrittrice importanti riconoscimenti, come ad esempio il Premio Maeterlinck in Belgio nel 1995, il Neustadt International Prize for Literature e il premio Margherite Yourcenar in USA nel 1996 e nel 1998, il Deutscher Friedenspreis in Germania nel 2000 e, nel 2006, il Grinzane Cavour in Italia. Nel 2006 Assia Djebar è stata eletta membro dell’Accadémie française.
Il suo bisogno di scrivere, di scrivere in libertà, è stato determinante per la decisione di trasferirsi, negli ultimi anni, parzialmente in America, dove ha insegnato alla New York University. Un esilio nell’esilio.
Ci ha lasciato nel febbraio del 2015.
La Soif, Julliard 1957
Les Impatients, Julliard 1958
Les enfants du nouveau monde, Julliard 1962
Les alouettes naïves, Julliard 1967
Femmes d’Alger dans leur appartement, Edition des Femmes, 1980 (trad. it. Donne d’Algeri nei loro appartamenti, Firenze, Giunti, 1988)
L’Amour, la fantasia, Lattès, 1985 (trad. it. L’amore, la guerra, Como-Pavia, Ibis 1995)
Ombre sultane, Lattès, 1987 (trad. it. Ombra sultana, Milano, Baldini e Castoldi 1999).
Loin de Médine, Albin Michel, 1991 (trad. it. Lontano da Medina. Figlie d’Ismaele, Firenze, Giunti 1993)
Cronique d’un été algérien, Plume 1993
Vaste est la prison, Albin Michel, 1995 (trad. it.Vasta è la prigione, Milano, Bompiani, 2001)
Le Blanc de l’Algérie, Albin Michel, 1996 (trad. it. Bianco d’Algeria, Milano, il Saggiatore 1998)
Oran, langue morte, Actes Sud, 1997 (trad. it. Nel cuore della notte algerina, Firenze, Giunti 1998)
Les Nuits de Strasbourg, Actes Sud, 1997 (trad. it., Le notti di Strasburgo, Milano, il Saggiatore 2000)
Ces voix qui m’assiègent, Albin Michel, 1999 (trad. it. Queste voci che m’assediano, Milano, il Saggiatore 2004)
Figlie d’Ismaele nel vento e nella tempesta, Firenze, Giunti 2000
La femme sans sépulture, Albin Michel 2002
La disparition de la langue française, Albin Michel 2003
Nulle part dans la maison de mon père, Fayard 2007
Filmografia:
La Nouba des femmes du mont Chenoua, 113 min, Algeria, 1978.
La Zerda ou les chants de l’oubli, 60 min, Algeria, 1982.
Su Assia Djebar:
Mireille Calle-Gruber, Assia Djebar où la résistance de l’écriture, Maisonneuve & Larose, Paris, 2001.
Renate Siebert, Andare ancora al cuore delle ferite. Intervista con Assia Djebar, La Tartaruga, Milano, 1997.
Renate Siebert, Voci e silenzi postcoloniali. Frantz Fanon, Assia Djebar e noi, Carocci, Roma, 2012.
Referenze iconografiche: Assia Djebar, 1992 circa. Foto di Michel-georges Bernard. Creative Commons Attribution-Share Alike 3.0 Unported, 2.5 Generic, 2.0 Generic and 1.0 Generic license.
Voce pubblicata nel: 2012
Ultimo aggiornamento: 2023